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  • Immagine del redattoreMargherita Pogliani

Vivere la morte con la vita

Celebro la vita, non la morte. La celebro per lui e con lui.

La celebro accettando la sua morte come ennesima lezione di vita. Perché a volte solo toccare dolori profondi ci risveglia da quel letargo che ottunde l’anima, procrastinando all’infinito.

Ma l’infinito e gli infinitesimi in natura non esistono. E la nostra natura umana rischia si spegnersi nella ricerca, perdendosi la presenza del presente.


“Ciò che mi fa più paura non è la morte, ma la sensazione di non aver vissuto appieno la vita” disse Marilyn Monroe. E nelle sue curve burrose scopro una grande verità: il dovere di vivere appieno, consapevoli di esser finiti e contemporaneamente proiettati nell’infinito. Proiettati a lasciare un’infinità di ricordi, che come chicchi di riso benaugurale, possono richiamare nel cuore sentimenti toccanti, esperienze reali, stimoli costruttivi.

Il ricordo oggi mi offre la possibilità di guardare il passato per ritrovare la consapevolezza vitale di chi sono, da dove vengo e dove voglio andare.

Una diversa prospettiva sul senso di una vita che nel quotidiano è appannato dal fare o rimandare.

Raramente stare. Essere. Vivere appieno.

Ecco che la perdita si fa dono, filtro di luce, stimolo potente per domandarmi: “Ma io, per cosa voglio essere ricordata?”

Voglio esser ricordata per aver vissuto appieno e per continuare a farlo nel cuore di coloro con cui ho condiviso il cuore. Come mio zio Giovanni, maestro di vita, dal cuore grandissimo, generoso, coraggioso, entusiasta.

Un cuore in accordo con tanti altri. Un cuore che ha rincuorato senza malincuore.

Un cuore vivace, sensibile, curioso.

Un cuore che ora più che mai mi ricorda l’importanza di stare vicini, mettersi una mano sul cuore e ringraziare della vita che ci è data.


Mio zio Giovanni ha amato, tra infinite altre cose, scoprire l’etimo delle parole per assaporarne sensi diversi, che offrivano punti di vista inaspettati o più rispondenti.

Così ora lo sento vicino continuando anche per lui questa ricerca di un senso senza fine. Di un senso che abbia senso, partendo proprio dalla parola cuore, scoprendo che in italiano la famiglia etimologica è più estesa che in ebraico o in greco ma quasi sempre è riferito al muscolo.

Invece nella Bibbia cuore è quasi sempre associato alla principale facoltà umana, “la più interiore e comprensiva di tutte, capace di funzionare ad ogni livello: fisico ma soprattutto volitivo ed etico, emotivo o passionale, razionale o istintivo. Molti sostantinvi e verbi che sono associati al cuore umano, ne arricchiscono e specificano il significato in contesti storici e letterari diversi rivelando tutta la ricchezza e complessità di essere un uomo o una donna a immagine e somiglianza” dell’infinito che è in noi.

Seneca scrisse: “Ciò che il cuore conosce oggi, la testa comprenderà domani”.

Oggi il cuore conosce lacrime di tristezza per la mancanza, ma anche lacrime di gioia per la presenza, perché mi sta insegnando come scoprire il segreto della morte cercandolo nel cuore della vita.

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