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  • Immagine del redattoreMargherita Pogliani

BeLove


Il tuo bacio si spegne nel mio.

“Ti sono sempre accanto” sussurro.

“Anche io, finché posso”, rispondi.

E mi stringi complice la mano, con quel sorriso furbo di chi pensa: “finalmente l’ho in pugno”.

Ci abbiamo messo 23 anni di cui uno ospedalizzato, per imparare a essere pazienti. Pazienti per stare con ciò che c’è, per meravigliarci di uno sguardo, per trovare un alleato nell’altro e non mille altri ruoli che vogliamo attribuirci.


23 anni di corse e rincorse, ostacoli e muri che sembravano insormontabili. E forse insormontabili lo erano, dato l’impegnò che ci mettevamo per erigerli e sostenerli sempre più strenuamente.

Mi fissavo sul tuo cognome, sui tuoi modi Bruschi, sull’arroganza del tuo nome che mi sembrava asfaltasse i miei petali delicati ruggendo: “Guido. Guido io.”

Ho preferito sottolineare le mancanze, non cogliendo l’entità delle tue presenza. Ho proiettato su di te i miei demoni e tu li hai respinti chiudendoti nei tuoi sogni. Ciascuno ha i suoi pezzi, ciascuno la sua responsabilità.

Ciascuno ha scelto come ha potuto: ne parlavamo ieri sera, sbalorditi dall’abbondanza di credenze, suggestioni, teorie cui potremmo aggrapparci pur di evitare ciò che c’è, ciò che onestamente siamo.


"Amore bello come il cielo

Bello come il giorno

Bello come il mare, amore

Ma non lo so dire

Amore bello come un bacio

Bello come il buio

Bello come Dio

Amore mio

Non te ne andare"

(Claudio Baglioni)



La cantavamo pochi anni fa all'Arena di Verona, ricordi?

Eppure, ci sono voluti 23 anni, 3 figli, 3 case, 6 animali, una decina di cambi lavoro ciascuno, un centinaio di viaggi, nessun rimpianto ma anche migliaia di ore perse a discutere, prima di lasciarci andare, per ritrovarci o probabilmente per trovarci finalmente liberi. Liberi di amare e di essere amati.

Mi hai fatto un dono incredibile resistendo finché non ci siamo trovati, nudi nella vulnerabilità, impauriti da ciò che sarà, sedati da morfina e consapevolezza ma, soprattutto, entrambi presenti nella gratitudine di una vita che in fondo ci ha dato tantissimo, a iniziare da tre ragazzi straordinari, che lottano con coraggio ogni giorno per uscire dalle loro gabbie mentali. E ideali.


Ci siamo trovati, ci voleva così poco: lasciar cadere le maschere, guardarci negli occhi, ascoltare i nostri silenzi, tenerci per mano.

Ci sono, tesoro. Ci siamo e ci saremo, ricordando quanto ci siamo detti ieri sera: siamo dei privilegiati. Ci siamo (ri)trovati, assaporando ricordi colorati e momenti di grande intensità, profonda bellezza, pace piena d’amore.


Ci siamo amati. E ci siamo lasciati amare.

Lasciarci andare, ciascuno per la sua strada e il suo destino credo sia una delle più autentiche manifestazioni di affetto che si possano desiderare.

Farlo nel rispetto dell’altro, preservandone la dignità, è stato per me il coronamento di un matrimonio realmente consumato.


Siamo qui. Possiamo solo stare qui, per ora. Senza aspettative, senza pensieri e preoccupazioni, ricordandoci che siamo pazienti e pretendendo sia preservata anche questa fase, a tratti così dolorosa, così faticosa.


Come un disco rotto continuo a recitare il mantra Ho’oponopono: “mi dispiace, perdonami, grazie, ti amo”.

Poi ti guardo, tu apri gli occhi e sornione mi sorridi. Ecco, questa è la foto che conserverò per sempre, testimone della voglia di viverci nel bene. Di star bene. Di degustare il presente, qualsiasi sapore abbia. Di danzare questa vita, qualsiasi espressione abbia.

Sempre, per sempre, con commossa riconoscenza.

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