Come si può stare realmente vicini?
Come si può sentire vicino chi è lontano, chi non c’è più?
Si può, semplicemente stando nel presente, stando con il cuore.
Stando vicino.
Vicino, vicino: curioso, al singolare maschile non si distingue nella forma l’aggettivo dall'avverbio. Leggo che un modo per rilevare questa differenza è considerare che l'aggettivo rappresenta una qualità del nome a cui si riferisce, mentre l'avverbio indica una posizione relativa nello spazio. Per questo quando vogliamo comunicare la nostra partecipazione al dolore di una persona diciamo ti siamo vicini, non ti siamo vicino, perché vogliamo esprimere un sentimento, una caratteristica che in quel momento ci qualifica, non una posizione nello spazio.
Eppure la prima definizione di vicino è nello spazio, dal latino vicus «che appartiene allo stesso borgo, villaggio, quartiere».
Mi colpisce molto questo etimo, perché ho sempre associato il concetto di vicino con la casina in cui abitavamo quando ero piccola, affacciata su un enorme giardino alberato con una costruzione da cui sarebbe potuta uscire Biancaneve, i Sette Nani e tutti gli animali al seguito.
Aria. Lì respiravo un’aria d’insieme spensierata e accogliente. Eravamo tutti vicini vicini, nel tempo e nello spazio condiviso. Un insieme di persone così diverse, così uniche da farmi pensare a un gruppo teatrale che il destino aveva riunito per mettere in scena un’opera assai comune: “La vicinanza allegra”. C’era il sognatore e la tenace, il buono e la fata, l’esuberante e la dolce generosa, l’inclusiva e il carismatico, il goliardico e la divina. Tutti, proprio tutti, eravamo animati da una gioiosa presenza, prima ancora che da una vivace disponibilità.
Sono, siamo cresciuti in questo nido di vicinanza, dove il vicino era un vero amico e il bussare alla porta svelava solo accoglienza.
“Corri cavallo, corri lontano” danzavamo a quelle feste ridanciane e spensierate dove noi bambini imitavamo i “grandi” nei loro balli, nei loro giochi, nelle loro chiacchiere fino a notte fonda.
Di settimana in settimana, c’era solo l’imbarazzo della scelta su dove organizzare il combino successivo e cosa portare. La spensieratezza mi sembrava scontata, la porta sempre aperta, la voglia di condividere sempre presente.
In quegli anni di piombo, per me semplicemente d’asilo, ho toccato con mano il valore della vicinanza, dell’amicizia, della solidarietà senza remore né indugi.
Ho portato a casa la forza di confronti anche accesi, la curiosità nel scoprire differenze e assonanze, il calore di una mano tesa e una mano presa.
Lasciare quel quartiere, i miei amici di cuore, le mie seconde e terze e innumerevoli famiglie, è stato inizialmente disorientante: da un abbraccio corale avevamo traslocato in una zona di saluti cortesi. Come si poteva essere tanto distanti se si era vicini di casa?
Non mi capacitavo di come potesse coesistere la mancanza con la presenza, la chiusura con il bisogno di vicinanza tipico del nostro “cervello sociale”. Così ho rivalutato il potere della vicinanza anche nell’assenza: lunghe telefonate, biglietti, lettere scambiati con il privilegio di una confidenza che ormai aveva radici comuni. Tempi, modi dilatati, ma anche più intensi quando le strade si incrociavano.
Quest’ultimo periodo mi ha costretta a ripensare a tante “case” davvero care, a misurarmi con la fine e a rielaborare il concetto di confine.
Fine e confine necessari per stare in ciò che provo, imparando a condividere un modo di essere vicino più spontaneo, più umano.
Come quando da bambina bussavo a quelle porte di amici, sentendomi benvenuta prima ancora che aprissero.
Come quando oggi mi fermo a casa degli amici di cuore, senza orpelli di inutile formalismo, con la sostanza di una vicinanza intima e rispettosa.
Perché per sedersi accanto occorre innanzitutto rispetto dell’intimità. Occorre in silenzio fermarsi, ascoltarsi e stare con l’umiltà di guardarsi dentro, prima di alzare gli occhi per riflettersi in quelli dell’altro.
Stare vicini è una scelta. Una scelta di relazione. Una scelta che spesso nasce sui banchi di scuola, ma altrettanto spesso si schiude con la maturità, con quella voglia di andare oltre lo spazio fisico per ritrovarsi nella stessa casa. Benvenuti nella stessa casa, qualunque essa sia.
Sorpresa dopo tanto d'un amore. Credevo di averlo sparpagliato per il mondo
(Casa mia, Giuseppe Ungaretti)
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