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Avvento di sorprese

  • Immagine del redattore: Margherita Pogliani
    Margherita Pogliani
  • 6 minuti fa
  • Tempo di lettura: 5 min

L'Avvento è sempre stato il tempo liturgico che più mi piace. Non il Natale con la sua nascita, non la Pasqua con la sua redenzione. L'Avvento è il tempo dell'attesa. Il tempo dei regali mirati, il tempo delle sorprese inaspettate. Il tempo della penombra che lentamente, lucina dopo lucina, si fa meno buia.

Quest'anno però l'avvento dell'Avvento mi infastidiva. L'attesa obbliga a stare fermi, a non distrarsi, a guardare quello che c’è davanti. E quello che ho davanti, da oltre due anni ormai, è un vuoto dove i miei figli abitano ciascuno a modo suo, con quella fatica a stare al mondo che mi spiazza e spezza il cuore giorno dopo giorno. Così stanotte mi domandavo: come aspetti la luce quando ti sembra di non meritarla più? Come prepari un Natale quando l'ultima cosa che senti è festiva? Come pensi ai regali quando fatichi a far tornare i conti quotidiani? Come accendi candele quando hai paura che si esauriscano prima che la fiamma accenda lo stoppino?

Poi stamattina, primo dicembre, il mio sguardo si è soffermato su un dono di mia mamma. È lì sul tavolo, quasi voglia occultare qualsiasi preoccupazione. "Per te," mi aveva detto porgendomelo. Due parole che mi avevano fatto tremare le mani mentre lo prendevo. Perché da quando tutto è incerto anche un gesto di cura verso di me può sembrare un pericolo. E pensare che io dovrei essere quella forte, quella che tiene insieme i pezzi. E invece sono diventata quella che teme anche solo di aprire una busta. Eppure... Eppure dentro c’era un calendario dell'Avvento. Non uno qualunque. Uno fatto per me, interamente a mano, tutto in cartoncino intagliato per contenere sorprese. I numeri e le frasi sono scritti con pennarelli colorati, la calligrafia è quella rotonda e precisa di mia madre. Quella calligrafia che conosco da sempre, che ho visto su tutte le lettere che mi scriveva, sui biglietti d'auguri, sulle liste della spesa.


Calendario dell'Avvento "Mom made"

L'ho guardato e qualcosa dentro di me si è spezzato e ricomposto nello stesso istante. Ho pianto, naturalmente, e non è stato il pianto arreso e spaesato di quando la notte mi sveglio e realizzo che sono sola a gestire l'implosione silenziosa dei miei tre figli. No, questo era un pianto antico, profondo, che veniva da dove la parola non arriva ancora. Il pianto di chi vede materializzarsi davanti la prova concreta che qualcuno crede ancora che tu possa meravigliarti. Che meriti ancora sorprese. Che non sei solo una madre in apnea che trattiene i respiri per arrivare a fine giornata. 


"Non aprirmi subito," sembra dirmi. "Guardami. Lascia che stia. Lascia che ti ricordi che ogni giorno può contenere una sorpresa, anche quando sembra impossibile." Così lo accarezzo e il mio sguardo si perde tra le sue fessure, ignorando finalmente quel silenzio particolare che abita ogni giorno la nostra casa, quando ognuno è chiuso nel proprio spazio e io mi aggiro come un'equilibrista funambola che cerca di mantenere in piedi una parvenza di normalità, tra figli che sembrano continenti alla deriva, ognuno col suo modo di sprofondare, ognuno con la propria tempesta da cui io resto fuori, impotente e presente insieme.

Le domande sono sempre le stesse: come si tiene insieme una famiglia che sta implodendo? Come si fa la madre quando i figli hanno diciannove anni e sono troppo grandi per essere cullati, troppo giovani per essere lasciati andare, e troppo feriti per essere raggiunti? Come si può essere forti quando ti svegli e la prima cosa che pensi è: ce la faranno? Ce la faremo? Come fai a meravigliarti quando ogni giorno è una battaglia per la sopravvivenza emotiva ed economica? Come fai a essere agile, positiva, propositiva, quando la verità è che la sera cadi a letto distrutta e ti chiedi se domani avrai ancora la forza di alzarti?


Ebbene, questo calendario, questo stupido, meraviglioso, commovente calendario fatto di cartoncino e colla e frasi con numeri scritti a mano mi sembra abbia dentro di sé le risposte a tante di queste domande. Lo guardo di nuovo e mi chiedo se mia mamma, mentre lo costruiva, sapesse cosa stesse facendo. Se sapesse che mi stava regalando non un oggetto decorativo, ma un'ancora. Un appiglio quotidiano per non lasciarmi andare. Chissà quanto tempo ci avrà messo. La immagino al suo tavolo, con gli occhiali che scivolano sul naso, le mani che insistono a tagliare precise le caselle, perché l'amore delle madri è testardo, non si arrende mai. La immagino che le riempie di sorpresine, una per una, pensando a me. Pensando a cosa potrebbe farmi bene.

Non so cosa ci sia dentro. Forse bigliettini. Forse cioccolatini. Forse piccoli oggetti. Forse foto. Forse semplicemente parole. Non lo so. E non importa cosa contiene perché proprio questo non sapere diventa improvvisamente l'unica cosa bella in un orizzonte di macerie. Perché questo calendario è una dichiarazione di guerra alla resa. È mia mamma che costruisce letteralmente costruisce con le sue mani, ventiquattro piccoli "non mollare". Ventiquattro "ti vedo". Ventiquattro "ci sei ancora, anche se non te ne accorgi". E capisco che questo è esattamente il senso della maternità e dell'Avvento che avevo dimenticato. Non è solo attesa passiva di qualcosa che deve arrivare. È preparazione attiva. È costruzione quotidiana di spazio perché la luce possa entrare. È credere, contro ogni evidenza, che il buio non è l'ultima parola. Ogni porticina chiusa è un giorno che mi, che ci aspetta. Un giorno che non conosco ancora ma che può contenere una scintilla. Una piccola rivelazione. Un motivo per essere grata, sempre e comunque.


Stasera, quando i ragazzi usciranno dalle loro stanze per la cena che quasi sicuramente non mangeremo insieme – uno troppo depresso, una che conterà i chicchi di riso, uno che se ha altro per la testa – io aprirò la prima porticina. Da sola, forse con loro se accettano di venire. E dentro ci sarà qualcosa scelto per me, pensato per me, fatto con amore per me. E questo basta. Questo già adesso, prima ancora di aprire alcunché, è un presente che mi fa sentire meno sola. Meno persa. Meno inadeguata. Perché questo calendario di cartoncino mi ricorda una verità che avevo dimenticato: io merito ancora sorprese. Io ho sempre un presente da scoprire tra le mani. Io non sono solo una madre che tiene insieme i cocci. Non sono solo una vedova che fa i conti. Sono anche Margherita. Quella che sa meravigliarsi. Quella che costruisce ponti. Quella che danza tra le difficoltà. Quella che può ricordarsi – ricordarci – che si può ancora attendere qualcosa di bello. Che l'Avvento non è solo l'attesa passiva del Natale, ma può essere una scoperta attiva di piccole presenze.

Questo calendario fatto di cartoncino e amore materno è la cosa più sovversiva che potessi ricevere, perché mi obbliga a stare nel presente – non in quel passato che non torna, non in quel futuro che mi preoccupa – ma qui, ora, davanti a una porticina chiusa che contiene un presentino pensato per me. Una sorpresa al giorno. Una scintilla al giorno. Un motivo al giorno per dire: si può. E forse – solo forse – se io posso, anche i miei ragazzi vedranno che si può. Che attraversare il dolore non significa esserne annientati. Che si può sprofondare e poi risalire, un giorno alla volta, un presente alla volta.


Quindi quattro volte grazie, mamma per ogni ritaglio. Per ogni pensiero scritto a mano. Per ogni sorpresa nascosta dietro caselline che posso ancora aprire.

Grazie per avermi ricordato che attendere non è subire. Che l'Avvento può essere il tempo in cui ci si prepara non a una nascita lontana duemila anni fa, ma alla propria rinascita. Piccola, fragile, entusiasmante. Possibile. Ancora possibile. Sempre, ancora possibile.

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©MargheritaPogliani 2019

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