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  • Immagine del redattoreMargherita Pogliani

Stammi bene

"Stammi bene", azzardiamo talvolta, quando ci salutiamo.

"Stammi bene", è l'augurio che non dovrebbe mancare ogni mattina quando ci guardiamo allo specchio.

"Stammi bene" è diverso da "abbi cura di te". È un impegno reciproco: ti auguro ogni bene ma tu fai di tutto per stare bene.

Solo sfiorando le ali del male ci rendiamo conto di cosa significhi stare bene. Bene è assenza di male.

"Ti è andata bene!"

"Comportati bene!"

"Hai fatto bene"

"Trattalo bene"

"Ti fa bene"

"Ti sta bene"

"Ben ti sta"

"Bene, bene..."

Vado avanti? Mi piacerebbe, ma fatico ad andare avanti. Piuttosto riesco a stare con ciò che c'è, un passo avanti e uno indietro, una caduta, la fatica di rialzarsi, tra soste necessarie e forze che mancano. Scompensi, inconvenienti, accidenti, talvolta sorprendenti.


Non era previsto ma ci siamo ritrovati in pellegrinaggio e in pellegrinaggio resistiamo. O, meglio, ®esistiamo: riesistiamo, con ogni diritto d’autore. Perché siamo stati chiamati a fare un percorso tra la vita e la morte che ha come unica destinazione quella di ®esistere resistendo.

Siamo viaggiatori erranti, tra un piano e l’altro della nostra Humanitas. Della nostra benedetta umanità. Un itinerario breve sulla carta, lunghissimo tra salite e discese sulle fibre del nostro corpo.

Urgenza e pazienza, coraggio e speranza sono i compagni di questa insolita estate, dove ci scopriamo pronti a perderci per ritrovarci.


Sfumano le lunghe notti di inizio estate, cala la quiete del caldo e ovattato agosto.

Partono. Partono tutti. Eppure intorno a noi i costumi non cambiano: sempre bianchi o azzurri, gentili, delicati, accoglienti. Medici, infermieri, addetti alle pulizie, ai pasti, alle entrate. Cambiano i volti, ma la sostanza resta la stessa: compassionevole. Pregna di rispetto per la persona, con passione. Sempre pronti a fare bene il bene.

Esattamente una settimana fa il confine tra al di qua e al di là era molto, troppo vicino. Frangenti di complicanze investivano la sua esile resistenza, tanto da doversi munire di un casco per difendersi da un’atmosfera troppo pesante.

Quando il cuore perde i colpi, quando si accarezza un respiro come la peluria sulla testa di un prematuro, quando ci si ritrova acrobati funamboli su un velo di speranza, si impara a ®esistere.

A ®esistere con ciò che è stato e con ciò che c’è. A ®esistere con la propria forza e l’altrui resistenza.

A ®esistere con benevolenza, compassione, gioia per l'altrui gioia ed equanimità. Nel buddismo li chiamano metta, karuna, mudità, upekkha. Sono i territori del cuore che, come scrive Chandra Candiani, "possiamo tornare a dimorare dopo aver scavato, dissodato, arato, seminato, innaffiato. Sono stati sporcati, sconciati, sepolti ma in realtà sono tendenze naturali dentro di noi. Dentro tutti noi, dentro ogni essere animato c’è un cuore e una capacità di silenzio".

Ho rivalutato il silenzio, illuminante in questo viaggio dritto al cuore delle emozioni, tra meccanismi ed equilibri delicatissimi. E percorrendo le sue strade buie, torno a stupirmi per la magnificenza di ogni luce: un sorriso commosso, un soffice tramonto, l'immagine di un abbraccio in un mare gentile, il profumo di una pesca matura, la libidine di un soffice muffin con una manciata di lamponi, l'attenzione partecipe di chi ci sta accanto. La sensazione di catatonica precarietà ogni volta è vinta dal luminoso mistero dell’esistenza. Nonostante tutto.


Nonostante è una parola molto pertinente in questo caso: sto, stiamo, nonostante ogni giorno sia una nuova puntata di Doctor House tra batteri killer, complicanze a catena, vicinanza, determinazione, commozione. Montagne russe, scorci da harakiri, deserti sahariani, paludi popolate da funghi velenosi e anche oasi di luce, vette conquistate, bagni di umiltà, tuffi nell'anima, miniere preziose.

Che estate anomala! Tanto agognata, mai posseduta se non attraverso le foto di chi ci condivide una vibrazione di vacanza, regalandoci una boccata d’aria rincuorante. Rincuorante perché ci ricorda la voglia infinita che ancora abbiamo di viaggiare e scoprire e lasciarci alle spalle l’aria tesa e soffocante di una quotidianità che ha bisogno di diventare inusuale per palesarsi nella propria struggente bellezza. E noi, noi ®esistiamo con forza: la forza di volontà di ripartire alla scoperta di questa pazza vita che talora ci lascia veleggiare fino alle radici dei vulcani hawaiani, talaltra ci incatena in selve oscure. Forse è proprio quando ci si ritrova imprigionati tra ragnatele di sofferenza che si riscopre il bene.


“Bisogna preparare il cuore, dargli il tempo di sentire, senza preferenze e opinioni, lasciare che il cuore scelga e ci permetta di percepire. La tristezza quieta e vibrante che tira i fili e ci richiama a ospitare il male senza paura di contagi e danni irreversibili si chiama compassione.

Allora ci sediamo e chiunque arrivi alla nostra mente lo invitiamo gentilmente al cuore, gli facciamo una cuccia. E non facciamo niente, solo ospitiamo, accarezziamo con il respiro, inspiriamo ed espiriamo insieme. Tutto il corpo, tutto il pensiero è un augurio di bene, senza decidere quale sia il bene giusto.”

(Chandra Candiani)

Ormai non mi domando nemmeno più quale sia il bene giusto.

Sorseggio parsimoniosa e ottimista la mia spremuta di bene, shakerandola con una dose di energia e un pulsante di pronto intervento.

Un augurio di bene mi anima.

Un augurio di bene mi permette di affidarmi. Di affidarci. E - come scrive sempre la poetessa dell’anima – “affidandoci si calma la smania della riparazione e della rottura definitiva, affidandoci non sappiamo e aspettiamo. Quieti.”

Quieti stiamo. Non certo per quieto vivere ma per costruire anticorpi pronti a tutto.

Pronti a star di nuovo bene.


“Olim non fuimus nati sumus unde quieti nunc sumus ut fuimus cura relicta vale et tu”.

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