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  • Immagine del redattoreMargherita Pogliani

Pura e semplice speranza

(Ri)siamo, davanti a un nuovo lockdown.

(Ri)siamo attoniti, spaventati, bloccati, incattiviti in questa paralisi tra passato e futuro.

(Ri)siamo a corto di speranze.


Fermi: davvero? Perché se guardo o ricordo un tramonto, in quella palla di fuoco che si stempera nell’orizzonte io vedo ancora la fiamma della speranza.

Speranza non tanto di un nuovo giorno, quanto di essere presente in questo momento, riconoscendo nelle parole di Emily Dickinsonquella cosa con le penne, che si posa nell’anima, e canta un motivo senza parole. E non smette mai...”

La sentite? E’ quel respiro, quella luce calda, quel sentirsi connessi e soprattutto sentire che esistiamo.

Siamo. Fragili, certo. Impauriti, ovvio. Arrabbiati, comprensibile. Ma siamo.

In questo preciso istante ci siamo. E proprio quando mi perdo in quel tramonto, smetto di lottare, galleggio nel vuoto, ritrovo la fiducia, senza senso, senza contenuto, senza pensieri.

Un semplice sussurro dal cuore. Infantile, se volete. Perché è spontaneo, puro, leggero, innocente, privo di ratio. Il mio cuore batte. Sento la vita e osservo questa sensazione con distacco divertito, con sollecitudine affettuosa. Con la lungimiranza dei Beatles:

Here comes the sun, do, dun, do, do Here comes the sun, and I say It's all right

Troppo banale? Non penso. Troppo facile? Sicuramente: quando mi capisco che basta accogliere il fatto di esistere in questo preciso istante.

Abbiamo tutti un bisogno vitale di speranza. Che per me non significa, per rispondere a un amato cugino, cieca fede o desiderio di un cambiamento che delego alla speranza.

Perché io sono quel cambiamento. Io incarno la speranza nel momento in cui sono consapevole di essere presente. Mi ri-anima. Ne sono intrisa, trasuda dal mio essere semplice, leggero, senza intenzioni e richieste.

Prendo in prestito una spiegazione che trovo chiara, di Vaclav Havel: “La speranza non è sicuramente la stessa cosa dell’ottimismo. Non è la convinzione che qualcosa si risolva in bene, ma la certezza che qualcosa ha un senso, indipendentemente dal come la cosa si risolve”.

Rifuggo il giudizio. Rifuggo il controllo. Mi limito a chiedermi: come posso sperare? Come può aiutare questo palpito inesplicabile?

Deepak Chopra nel suo illuminante percorso La speranza in tempi incerti suggerisce di imparare a percepire l’esperienza cosciente senza analisi della mente o concettualizzazione, senza pensieri correnti su passato o futuro.

La perdita della speranza è illusoria, perché la speranza è radicata nella realtà, mentre la sua perdita è radicata nel passato, nelle vecchie ferite, nelle convinzioni negative, nella bassa autostima e, soprattutto, nelle aspettative deluse. E’ facile, aggiunge, credere che questi fantasmi della mente siano reali, perché pensiamo che la paura che generano ci protegga da ulteriori dolori.

Ma sono i soliti, limitanti pensieri.

La speranza è adesso, è un sentire armonico, è così meravigliosamente semplice! Basta separarsi dal caos, allontanare i dubbi, riconoscere che esistiamo e imparare ad ascoltare con il cuore. A guardare con il cuore. A vivere con il cuore. Ad accogliere con-tatto e riconoscenza il contatto, anche solo emotivo.

Futili parole? Di certo. Come però è certo che siamo (ancora) qui e che possiamo nutrire la speranza con azioni, testimonianze e una “personale partecipazione all’essere futuro”.

Semplicemente sussurrando: “Ci sono. Come stai?”

Questa speranza, questa connessione, mai scontata ma possibile, mi nutre.

E spero generi anticorpi ai virus che cercano di pervadere il mio, il nostro presente.

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