Le Mani di Gloria
- Margherita Pogliani
- 9 minuti fa
- Tempo di lettura: 12 min
"Mamma, noi due saremo sempre legate perché abbiamo condiviso l'anima."
(Dal libro Le Mani di Gloria, di Gloria Torri)
Queste parole - sussurrate da una diciottenne a sua madre prima di partire per Parigi - mi hanno commossa. Gli occhi di Gloria si sono illuminati raccontandomele, e i miei sono diventati lucidi. Perché in quella frase c'è tutto: il mistero dell'amore incondizionato, la magia di chi sa trasformare diciotto anni di dolore in un tesoro di saggezza infinita. Gloria Torri è gloria e torri, di nome e di fatto: un’amica preziosa, un baluardo di torri gentili contro la mediocrità e la superficialità con cui spesso si liquida la genitorialità. Gloria è forte e delicatissima. Ammiro la sua capacità di toccare il cuore accarezzando l’aria – e l’aura! – mentre racconta con una spontaneità e un’umanità rara. Non è un caso se "Le Mani di Gloria" intitolano il suo ultimo libro, un’opera che va oltre la saggistica e la narrazione, perché trasmette l'alchimia più pura che esista: quella di una madre che ha imparato a decifrare il linguaggio segreto di sua figlia gifted. Nel blu indaco della sua intuizione profonda, nell'arancio della sua creatività trasformativa, nell'ecru della comunicazione che cura, ho visto tutti i colori del mio metodo Serendipity danzare insieme.Gloria mi ha svelato come ogni bambino "diverso" sia in realtà un messaggero del futuro. Come i diciassette secondi magici possano riscrivere ogni destino. Come "fare stellina" quando tutto sembra crollare. La sua rivoluzione è silenziosa ma potente: smettere di vedere problemi e iniziare a riconoscere doni. Perché là dove c'è la ferita più profonda, fiorisce sempre il talento più luminoso.

Le Mani di Gloria: l'alchimia con "anime cristallo"
"Le Mani di Gloria" non è nato come un libro, mi confida subito. È nato come un grido di sopravvivenza che si è trasformato in canto di liberazione. Gloria inizia il suo racconto dalle radici più profonde, tessendo una tela dove la sua storia personale diventa la chiave di comprensione universale. Vent'anni di analisi junghiana iniziati a diciannove anni, alla ricerca disperata di una risposta alla domanda che l'accompagnava dall'infanzia: "io cosa sono qui a fare?" La sua voce ha quella cadenza particolare di chi ha imparato a danzare con l'impossibile mentre mi racconta come il percorso analitico non le abbia dato quella risposta, ma l'abbia aiutata a svelare i meccanismi inconsci delle sue interazioni sociali.
«La pecora nera, quando ero piccola, era il mio carattere», mi confida con una vulnerabilità che tocca il cuore. «Ero una bambina arrabbiata - poi ho compreso dopo, legittimamente - ma ero vista come la spina nel fianco dei miei genitori.» I suoi occhi si offuscano leggermente mentre riaffiora il ricordo di quella bambina che faceva litigare tutti, aveva sempre qualcosa da dire, tirava calci alla zia, picchiava i bambini del condominio.
Ma il destino ha i suoi modi di tessere connessioni profonde. Quando Marta aveva sette anni, tutto è precipitato e tutto è cambiato. Gloria mi racconta di quel momento che ha spaccato la sua esistenza in un prima e un dopo: «Quando una figlia ti dice che piuttosto che tornare a scuola con le sue compagne preferisce suicidarsi, capisci che è arrivata a un punto di non ritorno, perlomeno un punto di grandissima crisi.» Da lì è iniziata l'indagine di questo terrore di vivere e la scoperta di quell'ansia gigantesca che comandava e dirigeva la vita, le azioni, i pensieri di sua figlia.
La danza del contenimento
L'ansia di Marta non era capriccio - era il grido di un'anima che sentiva tutto troppo intensamente per questo mondo. Gloria mi descrive con precisione chirurgica quei primi anni di ricerca disperata: continuava a tamponare, abbracciare, sostenere, dedicarle tempo cercando di non farsi risucchiare in quel buco nero dove insieme all'ansia viveva una depressione molto profonda.
È qui che Gloria mi introduce al primo dei suoi strumenti di alchimia materna: l'arte dell'abbraccio trasformativo. «L'abbraccio forte, vigoroso e lungo», mi spiega mentre le sue mani si muovono come a voler contenere ancora quel dolore antico, «noi lo chiamavamo 'trasferimento di energia'. Non sempre accompagnato da parole, spesso silenzioso, durava finché Marta lo volesse.» L'abbraccio serviva a "contenere" tutto ciò che Marta percepiva come immenso e incontenibile - le sue emozioni distruttive, la rabbia, la tristezza.
Ma Gloria aveva scoperto qualcosa di ancora più profondo. Mi racconta della tecnica dei sei respiri che la neuropsichiatra di Marta le aveva insegnato, basata su uno studio pubblicato su Lancet: «Il ritmo del respiro nelle metropoli si era naturalmente accelerato arrivando, dalla frequenza ideale per la coerenza cardiaca di sei respiri al minuto, a venti respiri al minuto, riducendo l'ampiezza di ogni respiro a discapito del nutrimento di ossigeno che ogni inspirazione ed espirazione portava con sé.» Utilizzavano questa tecnica ogni volta che Marta andava in estrema ansia e piangeva: sei respiri lunghi, profondi e consapevoli per resettare il sistema nervoso.
La svolta arrivò attraverso l'osservazione paziente dei piccoli mattoncini di luce. Ogni piccolo passo in più di Marta, ogni piccolissimo progresso quando, guidata a superare quel piccolo contesto, lei diceva "ah ma hai visto che quella cosa lì l'ho fatta, c'è l'ho fatta". Gloria sorride al ricordo di come dovesse trattenere l'impulso di dire "ma te l'ho sempre detto, era solo lì aspettarti", scegliendo invece di sottolineare come quello fosse un piccolo mattoncino su cui mettere sempre la luce per ricordarsi nei momenti bui che si può creare la luce, si può passare dall'ansia alla soddisfazione.
L'arte della preparazione e il "Fare Stellina"
Il problema era calibrare le sfide che Marta era pronta ad affrontare. Gloria aveva dovuto imparare una nuova arte materna: «Ho imparato ad assecondare anche quello che era il mio sentire, a prepararla prima parlandone, sgonfiando proprio come un palloncino l'ansia e riportandola qua nel presente.» Questo aspetto preparatorio lo aveva affinato istintivamente nel tempo: preparare prima, chiamare subito dopo, mandare il messaggino "dai che ce la fai" e, appena finita l'esperienza difficile, proporre di andare a prendersi un gelato insieme.
Ma c'era un altro strumento magico che Gloria aveva scoperto: "stare a stellina". Mi spiega con gli occhi che brillano di tenerezza come questa tecnica fosse insieme fisica e metafisica. «Stare a stellina», mi racconta, «è proprio quando si fa la stellina nel mare per vedere che galleggi. Se tu stai ferma galleggi, e quindi non vai a fondo: il mare ti sostiene.» È un modo per acquisire sicurezza nello stare in acqua, quando sei stanco di nuotare e ti vuoi riposare puoi metterti a stellina.
La metafora diventa pura poesia quando Gloria la estende all'esistenza: «Stare a stellina per me è meraviglioso perché vuol dire anche proprio abbandonarsi nell'acqua, e noi siamo acqua di fatto. Vedi che se anche tu ti abbandoni, non hai più il controllo della mente, dei muscoli, di niente, sei sostenuta. È quello il bello del fare stellina: sei sostenuta in questa posizione anche a non fare niente e non ti succede niente.» È come stabilire un'alleanza con il flusso dell'universo, un arrendersi all'universo dicendo "pensaci tu", che aiuta molto a distaccarsi dal mentale, dal dolore, da qualsiasi cosa.
La metamorfosi attraverso il dolore: la scoperta dei diciassette secondi
Dopo che Marta era andata via di casa a studiare all'estero, Gloria ha vissuto una depressione profondissima. È in quel momento che ha fatto la scelta che ha cambiato tutto: rivolgersi a una coach spirituale che, invece di continuare a scavare nel passato, le ha fatto capire come funzionava la sua mente e che poteva governare i suoi pensieri. «La responsabilità della mia vita era solo mia», mi dice con gli occhi che si illuminano al ricordo di quell'epifania liberatoria. «E questo mi ha liberato perché sennò con la terapia si pensa sempre alla famiglia, da dove vengo, è colpa loro, però ormai io ho 57 anni e non posso continuare a dare la colpa a qualcun altro.»
È qui che emerge uno dei concetti chiave del suo libro, quello che cambierà per sempre il modo di vedere se stessa: «È come se avessi capito che non ho il marchio di fabbrica della pecora nera. Nessuno di noi ha il marchio di fabbrica da pecora nera, o quantomeno può anche togliersi il marchio di fabbrica da pecora nera.»
Ma la scoperta più rivoluzionaria è quella dei diciassette secondi magici: «Noi abbiamo 17 secondi per sostituire il nostro pensiero prima che inizi a segnare un solco negativo nel percorso del nostro cervello. Quindi se tu cambi il pensiero entro 17 secondi eviti di cadere in quel vortice dove la puntina del disco va sempre, cade sempre dove il disco è già segnato.» Spesso quello che è già segnato è un sentiero di sofferenza, solitudine, negatività, paura, ansia. Gloria aveva imparato questa tecnica su se stessa e poi l'aveva insegnata a Marta: sostituire il pensiero negativo entro diciassette secondi per evitare che si cristallizzi nella realtà.
Là dove c’è dolore c’è talento: il dolore si può trasmutare affinché ne emerga il talento che è la singolarità di ciascuno di noi.
Il tempio dell'apprendimento: strategie di sopra-vivenza
Gloria mi racconta nei dettagli l'inferno scolastico che hanno attraversato. L'episodio del bullismo in seconda elementare: tre compagne ripetevano a Marta che non era all'altezza di giocare con loro, la escludevano sempre e le impedivano di andare in bagno all'intervallo, per cui tornava a casa con i vestiti bagnati. Per sei mesi Marta non aveva parlato dell'accaduto, e loro continuavano a dirle che non doveva comandare ed essere prepotente. «Come sempre, aveva ragione lei», riflette Gloria con il peso del rimorso materno.
La soluzione era arrivata attraverso l'unico insegnante che Marta salvava: il professore di inglese che le aveva detto con il cuore in mano "ha ragione Marta, lei qui non c'entra niente con nessuno, è pesce fuor d'acqua. Mandatela a studiare in una scuola internazionale." Da lì la decisione della scuola inglese a Milano, dove Marta è letteralmente rinata.
Ma Gloria aveva sviluppato anche strategie concrete per gestire l'ansia scolastica. Il cavalcare la passione era diventato fondamentale: nell’istituto inglese aveva imparato che le passioni nei plusdotati cambiano, quindi bisognava essere pronti ad assecondare quella del momento, invece di vedere questo come segno di incostanza o incapacità di mantenere un impegno.
I messaggeri del domani: decifrare il codice
È qui che Gloria condivide la sua visione più profonda, quella che l'ha portata a scrivere il libro. «Mi sono resa conto che questi ragazzi non vanno 'curati', loro stanno male perché viviamo in una società malata, sono loro quelli sani e sono qui per indicarci la via!» La sua voce diventa profetica mentre mi spiega la sua ipotesi: i plusdotati, così come gli Asperger e alcuni casi di dislessia, sono anime giunte qui per indicarci un nuovo mondo più libero, onesto, diretto, vero, autentico.
Questi bambini sono «anime cristallo e arcobaleno, troppo pure per questo piccolo mondo antico e per questo così sofferenti». Il problema non sono loro: siamo noi genitori, i loro coetanei, i loro insegnanti, incapaci di comprendere il loro codice dell'anima, che ci ostiniamo a etichettarli, curarli, farli rientrare in quei modelli performanti che la società contemporanea propone.
La loro crescita segue pattern diversi: «A tre anni parlano come un liceale e al liceo regrediscono e parlano per slogan come i compagni: "bro", "bella zio", perché vogliono sentirsi finalmente uguali agli altri. Non crescono in modo lineare ma a spirale: ritornano spesso sulle proprie paure e crisi esistenziali, ma ogni volta ad un livello più alto di consapevolezza.»
La scuola del futuro: un vademecum di alchimia quotidiana
Gloria mi racconta come la sua esperienza l'abbia portata a sviluppare strumenti pratici per altre famiglie. Chiacchierando con altre mamme, si accorgeva che questi ragazzi erano spesso in cura da psicologi con psicofarmaci, ma continuavano a stare male e le madri erano impotenti di fronte a tanto dolore. Ha iniziato a fare domande più ampie, a ricostruire patterns comportamentali e chi ha seguito il suo consiglio di sottoporre il figlio a valutazione neuropsichiatrica ha scoperto di avere un figlio gifted o neurodivergente ad alto potenziale.
Dalla sua esperienza erano emersi piccoli trucchi concreti per uscire dalla "tana del criceto del dolore". Aggrapparsi alle passioni, a quelle specificità che si ritrovano nei figli per quanto irrazionali o non condivisibili. Con Marta avevano cavalcato molto il fatto che lei fosse golosa: la gratificazione di fronte a un sacrificio o uno sforzo spesso era una gratificazione alimentare buona e sana, in contesti belli perché il bello cura - il contesto è fondamentale.
I momenti di decompressione erano fondamentali: questi bambini hanno bisogno di dedicare molto tempo al riposo e all'apparente inattività. «Il loro cervello funziona a doppia velocità e dopo un periodo in mezzo agli altri o dopo le lezioni scolastiche, hanno bisogno di ricaricarsi a modo loro, da soli, in uno spazio confortevole, protetto e inviolabile.»
E quando si sentivano sopraffatti dalla ruota dei pensieri ossessivi, Gloria aveva imparato a dire a Marta: «Ogni tanto quando sei arrotolata abbandonati a stellina su ciò che c'è al momento, perché tanto tutto continua, la vita va avanti, è solo nella tua mente tutta questa complicazione. Oggi stai nella famiglia, nel compito, nella routine quotidiana che nella sua estrema noia, quando è eccessiva in certi momenti, invece è una semplificazione mentale, è un po' lasciarsi andare a stellina.»
L'ora dell'involo
Quando Marta ha compiuto diciotto anni e è partita per Parigi, Gloria ha vissuto la prova più dura. Il giorno del diciottesimo compleanno, dopo averle trovato casa a Parigi, le era crollato il mondo addosso. «Un dolore profondissimo mi ha invaso la mente e il cuore, un'ossessione morbosa per respirare ogni giorno un po' di tempo con Marta, con la sensazione che fossero gli ultimi momenti che avremmo trascorso insieme.»
Il corpo stesso le aveva dato segnali inequivocabili: «Soffrivo di “onfalite”, tanto che mi avevano prospettato un intervento chirurgico. Era giunta l'ora di tagliare il cordone ombelicale che, dopo diciotto anni, ha lasciato uscire il liquido per avvisarmi che era scaduto il tempo della mamma accudente e chioccia. Il corpo l’ha compreso prima di me la necessità di un drastico cambiamento: la fine di una fase, l’inizio di una guarigione. Quando Marta è partita come per magia anche il mio corpo ha iniziato la sua fase di cicatrizzazione».
Proprio qui si è manifestata la trasformazione più bella: Marta stessa era diventata la sua “cura” attraverso l'abisso della separazione. Con la sua saggezza da diciottenne illuminata le aveva sussurrato: "Mamma, noi due saremo sempre legate perché abbiamo condiviso la nostra anima, e tu sarai con me a Parigi come io sarò con te a Milano a dare un senso a tutte le mattine in cui metteremo il sale nella vita di ogni giorno, come mi hai insegnato tu."
La medicina dell'amore
È qui che Gloria mi rivela il vero motivo per cui ha scritto "Le Mani di Gloria": liberarsi finalmente di un fardello sovrumano che l'aveva fagocitata per diciotto anni. Ma il libro è diventato qualcosa di più: un lasciapassare per Marta verso il futuro, un riappropriarsi della propria unicità e complessità, la fine di un lungo percorso di crescita doloroso accompagnato da tutta la famiglia verso un lieto fine. Soprattutto, il libro è diventato il primo esempio, la pietra angolare di una nuova possibile educazione e consapevolezza del dono che ha chi cresce con un “gifted”.
Ora il massimo desiderio di Gloria è aiutare, con la sua esperienza, chi ha avuto la fortuna di avere un figlio neurodivergente o gifted. Perché questi bambini «non devono essere etichettati come gifted o plusdotati per fini scolastici né debbano essere "curati" come pazienti; la diagnosi è necessaria solo per cambiare la prospettiva e ribaltare l'atteggiamento depressivo/vittimistico in un dono da coltivare.»
La trasformazione che vuole offrire è radicale nella sua semplicità: «Smettere di vedere un problema e iniziare a vedere un dono. Quando interpreti un problema come un progetto (hanno lo stesso etimo!), tutto cambia.» Il suo messaggio alle madri è trasparente come una campanella di cristallo: «Non siete voi il problema. Non è vostro figlio il problema. È il sistema che non sa riconoscere i diamanti grezzi.»
Dall'emergenza all'eccellenza: la rivoluzione del quotidiano
Gloria mi confida che scrivere il libro l'ha portata a una comprensione ancora più profonda: «Ho scritto questo libro nel momento peggiore della mia vita e l'ho trasformato in un momento di gioia estrema, gratificazione, missione per gli altri, volontà di progetti futuri, creare una nuova scuola per questi ragazzi.»
La sua visione si estende oltre la famiglia verso una comprensione universale: tutti i ragazzi avrebbero bisogno di questo approccio, tutti noi avremmo bisogno di riconoscere che il dolore ci appartiene, ognuno ha il suo, e in questa consapevolezza comune possiamo starci vicini nella nudità delle proprie ferite per poterle trasformare.
Il metodo che propone Gloria è rivoluzionario nella sua semplicità: «Il dolore va vissuto, visto e trasformato. Non raccontiamocela, perché se chiudiamo gli occhi e andiamo dentro, tante volte quello che ascoltiamo non ci piace. Vogliamo continuare a essere come i bambini piccoli che si tappano le orecchie per non sentire?»
Una lezione è fondamentale: ogni giorno bisogna aggiungere sale alla vita, anche nei momenti di massima disperazione. Qualcosa di bello: un sorriso, una parola gentile, un gesto di aiuto, un gelato al cioccolato. Suscitare lo stupore con piccole attenzioni verso gli altri è impagabile. Quel luccichio negli occhi dell'altro, il suo grazie non detto, è quel sale che dà sapore alla giornata, anche se fuori piove.
L'eredità: un codice per trasformarci
Mentre il nostro incontro si avvicina alla fine, Gloria mi svela la sua visione più ampia: «Pensiamo sempre a come sopravvivere perché nel nostro contesto so quanto sia difficile crescere un figlio gifted, però si può creare una realtà di riconoscenza che ci porta a poter vivere e ricevere sopra le aspettative.»
Questo è ciò che può trasformare ogni famiglia: «Ciò che Marta ha ricevuto lo restituisce col suo esempio, con le sue frasi, col suo amore, con il suo riconoscere quanto siano state salvifiche tante frasi, la speranza, il fatto che ci sono sempre stata.»
Gloria si alza e mentre la luce del pomeriggio milanese si fa più dorata, mi confida l'ultimo segreto: «La riuscita non è forgiare un genio ma riuscire a togliere le erbacce che soffocano la crescita di un bocciolo di rosa per farlo respirare alla luce del sole, per esistere e generare altri germogli.»
"Le Mani di Gloria" è così diventato più di un libro - è un codice miniato per una rivoluzione silenziosa che può trasformare infinite famiglie. Un manuale di alchimia quotidiana che insegna come trasformare il piombo del dolore nell'oro della comprensione, come fare stellina quando la vita diventa troppo pesante, come usare i diciassette secondi magici per riscrivere la propria storia, come abbracciare fino a contenere l'infinito.
Lasciando Gloria, porto con me la certezza che il suo libro non sia solo la storia di una madre e una figlia, ma il manifesto di una nuova era - quella in cui i bambini del futuro potranno finalmente insegnarci, un respiro alla volta, come trasformare il mondo in un posto dove ogni stella caduta sulla Terra può brillare della propria luce. Le sue mani, quelle stesse mani che hanno saputo contenere il potenziale smisurato di una bambina cristallo, hanno decodificato il linguaggio delle anime. Anime che vengono da lontano per ricordarci chi siamo veramente.
Comments