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Immagine del redattoreMargherita Pogliani

This is us

“Non c’è alcun limone tanto aspro da non poterci fare qualcosa di vagamente simile a una limonata”

Quante volte ci siamo ritirati con l’amaro in bocca?

Quante volte l’acidità ha sciolto legami anche importanti?

Quante volte ci infatuiamo per scoprire poco dopo che sotto la scorza c’è poca sostanza?

Quante volte ci siamo bloccati al solo pensiero: “non funzionerebbe...”?

Quante volte la vocina interiore ha risposto: “Dai, almeno provaci…”

Dai, almeno proviamoci a fare una limonata! This is us, questo siamo noi ed è anche il titolo della serie TV da cui ho preso in prestito la citazione in apertura, perché è vero: questo siamo noi.

Siamo noi quando cogliamo il frutto più aspro e lo trasformiamo in bontà.

Siamo noi, quando sentiamo che la vita non sta andando come vogliamo e ci spremiamo per darle un nuovo senso.

Questo siamo noi, nella realtà, senza banalità e astrazioni.

Siamo noi a rispecchiarci nei diversi personaggi di questa “feel good dramedy” (uscito anni fa ma scoperto recentemente grazie a un’amica “di pancia”) toccante nella sua semplicità: ha il profumo della normalità, l’elasticità necessaria per tenersi ogni giorno in equilibrio, l’intuizione - che a ben vedere sempre abbiamo - di usare il limone non come corrosivo ma come dissetante. Le persone sono il cuore di queste storie intrecciate e non c’è elemento esterno a distrarci. Naturale riconoscerci in quell’amara sensazione di non essere mai abbastanza, di sembrare troppo o troppo poco, di sentirci soli o sommersi. Sono le emozioni che proviamo tutti di fronte alle sfide della vita.

Questo siamo noi. E non c’è niente di sbagliato. Anzi: la vita è aspra ma possiamo sempre trasformarla in qualcosa che somigli a una limonata. Come? Lasciandoli fiorire e appassire per diventare frutta. Poi cogliendoli e mettendoli sul tavolo, riconosciamone le caratteristiche, immaginando cosa ci piacerebbe assaporare e inventandoci un modo per valorizzarli. Cambiamo prospettiva, pregustando non ciò che pensiamo sia ma ciò che desideriamo possa essere. Apriamoci alla possibilità di sperimentare una ricetta inedita. Perché ogni agrume ha molteplici proprietà, a prescindere dal gusto che gli riconosciamo.

Allora, spremiamoli, facciamoli nostri. Un pizzico di creatività, una buona dose di fiducia, tempo dedicato e la voglia di inventare un modo per assaporare anche delizie che sembrano così amare. Perché amare si può. Andando oltre le spine, il gusto spiccato, pungente e agro.

Amare si può, utilizzando il verbo attivo, non più l’aggettivo qualitativo.

Seppur amare, amo le arance e anche i cedri del mio giardino: antichi, bitorzoluti, deformi, talmente rugosi da sembrare gli antenati dei vicini limoni perfettini, chinotti altezzosi, arance selvatiche. I loro alberi erano stati abbattuti lo scorso inverno dalla neve. Sembravano spezzati, eppure per il secondo anno di seguito mi hanno regalato frutti meravigliosi, che sotto la spessa scorza nascondono una polpa succosa, ricca di rimandi esotici.

Li coccolo, nemmeno fossero frutti miei. Li colgo, chiedendo loro scusa. Mi dispiace aprirli, affettarli, lasciarli sul fuoco. Ma solo così li vivo, li condivido in marmellate, insalate, spremute, sciroppi, canditi. Sono fidati alleati contro le freddure invernali e trasformano un blando piatto in una portata appagante. Una grattuggiata, qualche goccia e tutto cambia, dimostrando che anche i bocconi più amari in realtà possono diventare buoni. Molto buoni.


This is us: dobbiamo tagliarci, spremerci, scottarci per riscoprire che “si può”.

Si può accogliere le asperità dell’altro, riconoscendone le proprietà intrinseche.

Si può diventare come il cedro che profuma anche l’ascia che lo abbatte.

Si può andare oltre la credenza e scoprire l’essenza. Rispettando, esaltando le caratteristiche.

Come le arance amare del giardino, che nostro papà ha sempre raccolto per farne marmellate di gran carattere e tentativi canditi sulle note di antiche ricette. Proprio la sua inossidabile esuberanza, la sua sete di sperimentazione, la sua voglia di applicare l’ingegno mi ricordano che si può reinventare la quotidianità anche quando sembra brutta e indigesta. Oggi, per il suo compleanno, ne riconosco (e ringrazio!) l’entusiasmo contagioso, lo starci accanto stimolandoci a riconoscere la prelibatezza anche nell’amarezza.


Ascoltami, i poeti laureati si muovono soltanto fra le piante dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti. Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi fossi dove in pozzanghere mezzo seccate agguantano i ragazzi qualche sparuta anguilla: le viuzze che seguono i ciglioni, discendono tra i ciuffi delle canne e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni. Meglio se le gazzarre degli uccelli si spengono inghiottite dall'azzurro: più chiaro si ascolta il sussurro dei rami amici nell'aria che quasi non si muove, e i sensi di quest'odore che non sa staccarsi da terra e piove in petto una dolcezza inquieta. Qui delle divertite passioni per miracolo tace la guerra, qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza ed è l'odore dei limoni. Vedi, in questi silenzi in cui le cose s'abbandonano e sembrano vicine a tradire il loro ultimo segreto, talora ci si aspetta di scoprire uno sbaglio di Natura, il punto morto del mondo, l'anello che non tiene, il filo da disbrogliare che finalmente ci metta nel mezzo di una verità. Lo sguardo fruga d'intorno, la mente indaga accorda disunisce nel profumo che dilaga quando il giorno più languisce. Sono i silenzi in cui si vede in ogni ombra umana che si allontana qualche disturbata Divinità. Ma l'illusione manca e ci riporta il tempo nelle città rumorose dove l'azzurro si mostra soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase. La pioggia stanca la terra, di poi; s'affolta il tedio dell'inverno sulle case, la luce si fa avara – amara l'anima. Quando un giorno da un malchiuso portone tra gli alberi di una corte ci si mostrano i gialli dei limoni; e il gelo del cuore si sfa, e in petto ci scrosciano le loro canzoni le trombe d'oro della solarità. (I Limoni, Montale)


"La nostra parte di ricchezza", “trombe d’oro della solarità”: quale poesia sprigionate, pomi d’oro, aranci, gialli, verdi, rosati!

Mi piace pensare che tutti noi si possa raccogliere, conservare e godere nel tempo i nostri frutti.

E che il succo di ogni vita possa essere alla fine più dolce che agro.

Ricordando: This is us, agrumi in cerca d’autore. O d’amare? In fondo citando Romeo e Giulietta: "Cos’altro può essere l’amore se non una follia molto segreta, un’amarezza soffocante e una salutare bellezza"?

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