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Rispetto alla maturità

  • Immagine del redattore: Margherita Pogliani
    Margherita Pogliani
  • 1 giorno fa
  • Tempo di lettura: 5 min

Il 23 giugno 2019 ho condiviso sui social il seguente messaggio che mi aveva scritto mia figlia, allora 13enne:

 

“Ti voglio bene, e sai perché?

Perché hai sempre e dico SEMPRE cercato di farmi felice, hai sempre cercato di farmi crescere con la consapevolezza di non essere mai abbastanza grandi per fare certe cose che sono da più piccoli.

Mi hai fatto capire il vero significato della vita, che esiste la felicità ma pure la tristezza.

Grazie per avermi fatto capire cosa significhi essere DONNA e cosa bisogna affrontare.

Grazie perché nonostante tutti e tutto tu ci sei.

Ogni mamma è unica, diversa da qualunque altra; e anche se a volte litighiamo per cose abbastanza stupide, perché abbiamo caratteri diversi e siamo diverse nell’essere noi stesse, sappi che per me sei unica come mamma. Una mamma non si decide, non si forma come vuoi tu, si ha e basta!

E sinceramente ho davvero capito che sei perfetta per me perché ti trovo perfetta nel tuo “strano” modo di essere. Per questo alla conclusione di questo cavolo di messaggio ti scrivo che TI VOGLIO BENE cara mamma”.

 

Sei anni dopo, Facebook mi ripropone questo post, mentre io mi interrogo sul senso di una presunta maturità soffocata dal letame dell’ignoranza e della presunzione. Una, dieci pagelle con una media superiore all’8, soprattutto in italiano e nelle materie umanistiche. Una preparazione instancabile, nonostante la perdita di un padre, fragilità fisiche ed emotive, collassi ripetuti, ansie controllate, prove devastanti superate con il massimo dei voti.

“Comunque vada sarà un successo” le avrebbe detto suo padre fino a ieri, ignaro di un mondo che rotola alla rovescia, di un’ipocrisia dominante, di un manipolo di stolti che ci guida alla follia, di guerre intestine e violenze inconcepibili fino a pochi anni fa. La prova? Un normalissimo liceo milanese, pubblico, per carità, con una normalissima classe di studentesse giudiziose e con un’intelligenza emotiva a livelli altissimi, oltre alla capacità comprovata di scrittura ed elaborazione, che si ritrova con il primo scritto di maturità insufficiente. Perché? Chissà…

Ancora per qualche giorno resterà un dubbio amletico perché – mi domando - come hanno fatto una decina di studenti modello ad andare tutti insieme fuori tema, magari commettendo refusi da far accapponare la pelle a un insegnante di prima elementare? Caffè con malocchio la mattina? Punizione cora populi perché avevano troppo studiato?


Non mi capacito. Davvero, non mi capacito e la sensazione di un’ingiustizia evidente è talmente bruciante che rischio di perdere quel briciolo di lucidità cui cerco sempre di appellarmi.

Non mi capacito della superficialità diffusa che premia solo chi segue chattando le puntate in TV del Gattopardo anziché perdersi tra le sue pagine.

Non mi capacito di come si possano asfaltare 5 anni di successi scolastici per capricci, frustrazioni e pregiudizi che nulla hanno di professionale. Non mi capacito di come si possa scegliere a livello ministeriale, come seconda prova scritta d’indirizzo, una tematica fuori programma da una ventina d’anni.Non mi capacito per l’ignoranza imperante, impertinente, impavida, implacabile che ignora i dati allarmanti sui disagi giovanili, che misconosce il primo e unico esame che la classe 2006 abbia mai fatto nella sua vita, che impugna la penna per bacchettare (e forse anche banchettare) il cuore della nostra società: i giovani. Quei giovani che domani vanno all’università e dopodomani – si spera – solleveranno le sorti della mia, della nostra generazione ormai china sui propri malesseri, cieca al rispetto, sì, al rispetto degli altri e soprattutto di sé stessi.


Bel tema, eh, il rispetto… Si è pure meritato un posto tra le tracce d’esame per questa maturità. Talmente banale da esser stato scelto da più del 40% dei giovani italiani. Per questo li bastoniamo? Perché osano riflettere e farci riflettere sul rispetto in un’epoca in cui non sappiamo più nemmeno da dove abbia origine l’uso della parola.

Respicere, certo, guardare di nuovo. Ma proprio in quel guardare di nuovo emerge anche il rispetto come unità di misura, la distanza che deve esistere tra due stabili affinché non venga violata l’intimità delle persone che li abitano.

Che distanza è stata presa nel correggere i temi degli studenti di oggi?

È stata tenuta la giusta distanza? È stato rispettato quell’anelito e coraggio nell’esporsi su una tematica che oggi dovrebbe essere al centro dei dibattiti e non solo la parola dell’anno scelta da un’istituzione che pochi ragazzi sanno di possedere a casa?

Dove sta il rispetto per chi ha studiato, per chi ancora crede nella scuola come organo di formazione e non solo di istruzione?

Dove sta il rispetto che - come scrive l’autore della traccia scelta per la maturità «esprime attenzione, gusto dell’incontro, stima"? "Una decisione - suggerisce sempre Riccardo Maccioni - che sembra un auspicio che porta con sé il desiderio di costruire, di usare il dizionario non per demolire chi abbiamo di fronte ma per provare a capirne le ricchezze, le potenzialità. Perché, se è vero che le parole possono essere pietre, è altrettanto giusto sottolineare come siano in grado di diventare il cemento necessario a edificare case solide e confortevoli, la colla capace di tenere insieme una relazione a rischio di rottura».

Dove sta la “colla capace di tenere insieme una relazione a rischio di rottura” come quella tra insegnanti e studenti, tra maturandi e maturati?

Io vedo liquame, non cemento, punteggiato da voti pesanti come pietre.Quindi domando di nuovo: dove sta questo benedetto rispetto?

Non sta. Non sta più se non, forse, sotto un tacco a spillo di chi si crede più alto degli altri.


Perché scrivo tutto ciò? Perché non voglio più tacere di fronte alle ingiustizie. Perché è vero che questi ragazzi la maturità l'hanno già superata con successo e mi ha commossa il bellissimo pensiero condiviso oggi da Cazzullo sul Corriere della Sera: «Carissimi ragazze e ragazzi, di una cosa sono certo, che ognuna, ognuno di voi saprà dare il meglio durante le tre prove, perché valete, è ciò che avete dimostrato in questi anni, di avere tante doti e tanta umanità. Prego per ognuna e ognuno di voi perché sappiate vivere questi esami come occasione per esprimere il valore che portate dentro. Questi esami sono tanto contraddittori, fatti per mettere in difficoltà, spero che troviate insegnanti che vogliano capire chi siete e quindi non obbediscano alle regole dell'esame, ma a quelle del cuore».

Mi ha commossa tanto che oso alzare una lancia a favore del rispetto alla maturità: perché voglio dare un taglio – come ai miei ricci ribelli – agli abusi di potere, a chi gioca a mettere in difficoltà, a chi obbedisce alle regole senza mai fermarsi ad ascoltare non dico il cuore, ma almeno il mondo che vortica intorno.

Scrivo perché mi illudo che il rispetto possa ancora esser difeso.

Perché credo che il rispetto lo si debba esprimere a prescindere, iniziando a riconoscerlo in primis verso noi stessi, verso chi stimiamo, verso chi ha intuito prima e molto più di noi. Verso chi ci ha sempre portato rispetto con i fatti, con le parole, con il sentirci “diversi nell’essere noi stessi”.

Ci vuole coraggio.

Ci vuole maturità. Ci vuole rispetto, perché l’alternativa non è tanto la mancanza quanto la distruzione.

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architetto gabriele bocola
architetto gabriele bocola
13 ore fa

Cara Margherita, quando Gustave Eiffel propose la sua torre per l’Esposizione Universale di Parigi del 1889, fu accolto da violente critiche da parte di artisti, intellettuali e istituzioni, che la definirono:

«un'odiosa colonna di ferro, un mostro inutilmente alto».

Un gruppo di 300 tra i maggiori esponenti della cultura francese firmò un manifesto contro la costruzione. E oggi quella torre è il simbolo stesso di Parigi.


Citando questo esempio — che mi è particolarmente caro anche per deformazione professionale — posso solo dire che questa "Maturanda" vale infinitamente più del giudizio di un sistema ormai vecchio e inadeguato, un sistema che sta fallendo nella forma e nella sostanza.


La scuola, che dovrebbe essere la culla del progresso, si è dimostrata incapace di…


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©MargheritaPogliani 2019

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