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  • Immagine del redattoreMargherita Pogliani

Presente espresso ad arte

“Eccomi: cosa posso servire?”

“Un espresso, per favore”.


Eccomi, servire, espresso, favore: fino a qualche giorno fa attribuivo a queste parole una sensazione doveristica, vincolante, esigente, debole.

Dover esserci. Vincolata al servizio. Esigente perché espressa.

Questuante di un favore inespresso.

Adottavo il filtro inappropriato: banale buonismo. Buonismo nel senso di ricerca esasperata (ed esasperante) di motivazioni, di buoni sentimenti. Di risposte politicamente corrette: “Non lo fa apposta: è così…” Sempre buona, disponibile, comprensiva. Che boomerang! Cercare a tutti i costi le ragioni dell’altro, assolvendo chiunque o trovando comunque una seppur minima giustificazione, può soddisfare un immediato bisogno di approvazione. Ma senza andare troppo lunghi diventa presto un’arma pericolosa, perché sospende il contatto con la realtà, trasformandoci in compiacenti.

Curioso scoprire che la prima data attestata dell’esistenza della parola “buonismo” è il 1993. Ero già laureata. In filosofia, per di più. Ma amavo considerare il bene come fine ultimo da raggiungere: tutto purché si faccia del bene, per bene. Non ero certo un'aquila...

Finalmente la curiosità ha però prevalso e sono andata a cercare i concetti di servizio, favore, espresso nelle loro radici originarie. Ed è servito, a iniziare dallo stesso concetto di servire, che in ebraico antico, dicono significhi coltivare.

Lì vicino troviamo - guarda caso – il termine favore, che in latino e in sanscrito voleva dire “esser propizio e far prosperare”.

Infine, l’ultimo, espresso nel senso di spremuto fuori o inviato appositamente (e anche velocemente) per diventare con il tempo lettera, pacco, treno e caffè, tipicamente italiano: “espresso su richiesta del cliente”.

Come sono potenti le parole quando vogliamo leggerle oltre l’abitudine.

Quanto è importante l’ascolto quando scegliamo di accantonare l’alienante buonismo per essere finalmente egoisti e (ri)conoscere nostro ciò che sentiamo.

Ne ho avuto conferma la scorsa settimana, soprattutto in tre momenti di cui sono profondamente grata: il primo elaborando una doppia intervista sulla capacità di offrire più di ciò che immaginiamo, espressamente al servizio della collettività. Perché far del bene porta bene. E soprattutto perché possiamo “riscoprirci persone presenti, vere espressioni di una comunità che solo unendosi può rinascere più forte di prima”. La seconda lezione l’ho appresa partecipando al mio primo incontro con i soci e la Presidentessa di MuseoCity, architetta di inclusione e valorizzazione, coraggiosa attivatrice di iniziative volte a diffondere la cultura in modo accogliente e realmente presente.

Infine, la terza lezione l’ho avuta sul campo: il campo espresso dalla comunicazione, dove (anche) il digitale, che tanto mi è caro, diventa volano di valori da condividere. Da linkare per mettere a fattor comune. Perché in comune abbiamo passione, inventiva, tenacia, come ho constatato moderando il primo webinair di ItalianCreators: una vera alchimia gioiosa, un buon esempio di come l’ingegno e l’apprendimento continuo possano trasformare i metalli in oro, rendendo l’insieme molto più pregiato della somma delle parti.


Piccoli incontri che mi offrono un sorso di senso in più.

Momenti che rendo prima miei, poi nostri, espressamente al servizio di chi vuole prendere la sua parte in questa grande avventura che chiamiamo vita. Dove tutto è concatenato. Non per tenerci fermi e schiavi, ma per lasciarci liberi di esserci, esprimerci, coltivare e – perché no? – prosperare. In noi e fuori da noi. Con noi e con l’altro da noi. Perché come insegna l’Antico Testamento, “Adamo ha ricevuto in dono il giardino con la finalità di servirlo”. Ogni uomo, quindi, è chiamato a lavorare la sua quota di giardino: è questo il suo servizio.

Una quota non più ego riferita ma presente, al servizio della persona che si riconosce parte attiva della collettività. Una “semina” che parte dalla terra di ciascuno di noi, per diffondersi ben oltre l’orizzonte conosciuto.


Quante persone si sono chieste: “(a) cosa posso servire? Qui, ora, nel presente?”

Quante hanno trovato la loro risposta, la loro responsabilità, riconoscendosi parti di una stessa, meravigliosa macchina? Diverse, credetemi. Andiamo a conoscerle. Raccontiamo il loro esempio. Perché esser ingranaggi liberi di funzionare al meglio o attivarsi solo per pressione fa la differenza. Essere estrattori o estratti cambia il gusto, della vita.

Riconoscendo che a prescindere dalla scelta, solo associandoci, unendoci, connettendoci, possiamo condividere un presente che dia un senso al futuro prossimo e per il prossimo.

Tutti i “lumi” che ho finora ascoltato sono diventati per me attiv-attori di servizi nobili e preziosi, perché in quanto presenti a loro stessi lo sono in parte anche per me.

Puntualizzo: sono presenti di cuore, intensi, ricchi di sfumature, squisitamente umani.

Eccomi, dunque: un espresso, per favore. Preparato ad arte, mi raccomando.

Eccola, l’energia di un nuovo giorno, con quella rituale sensazione di novità, ricoperta da una crema color nocciola, che la rende unica o macchiata. Anche questa è una scelta. Una scelta presente. Sempre più entusiasmante.

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