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Immagine del redattoreMargherita Pogliani

Pazienza...


Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza Percorreremo assieme le vie che portano all'essenza (Franco Battiato)

Pazienza. Ci vuole tanta pazienza. Forse è questa la via maestra che porta all’essenza della cura.

La vera cura, fatta di silenzio e speranza. Mentre aspetto… aspetto un responso, una risposta, una prognosi, una diagnosi.

Pazienza. Ci vuole pazienza. Lo dicono a una gatta pressosa che si blocca come accecata da fanali inaspettati.

Pazienza. Ci vuole pazienza. Nel mezzo un continuo rinvio, un esame dopo l’altro. Con il rischio di perderla, quella sacrosanta pazienza. O seppellirla prima ancora che possa manifestarsi.

Ora capisco perché la pazienza è la virtù dei forti: ci vuole resistenza e resilienza per patire senza reagire, o meglio – nell’accezione greca – per fermarsi ad aspettare prima di scegliere se e come agire. Il termine paskein enfatizza il “lato riflessivo del coraggio”, per vedere le opportunità che emergono con l’attesa. Ho sempre avuto un coraggio combattente, appassionato. Poco riflessivo. Ed ecco che la vita mi obbliga a stare senza fare, a pazientare tenendomi in equilibrio tra iniezioni di ottimismo da condividere, aspettative da sedare e realismo da metabolizzare. Pazienza. Ci vuole pazienza. La frase stessa ha il tono strascicato di un lontano parente che sussurra: “cara, porta pazienza…”. Già: porto pazienza ma prima ho bisogno di trovare questa polverosa buona attitudine che sembra dimenticata, sotto il giogo di fretta, del tutto subito, delle performance sempre più feroci.

“Respira”, suggerisce chi è animato da santa pazienza. “Respira e stai nel qui e ora. Osserva la natura, conta fino a 10, 100, 1000… Esercitati a non fare niente. Riposa, medita e ricorda che ogni cosa richiede tempo". Così chiudo gli occhi e inspiro luce, sto nel colore di quel respiro e butto fuori tutte le ombre che lo annebbiano. Inspiro l'incertezza, espiro le paure e trovo nuove possibilità. Inspiro flessibilità ed espiro durezza. Inspiro fiducia ed espiro credenze. Inspiro armonia ed espiro dissonanze. Inspiro coscientemente ed espiro gratitudine. Già: espiro gratitudine, pura riconoscenza, perché sono qui a respirare, tutti noi siamo qui a respirare. Tutti noi possiamo respirare consapevolmente, riconoscendoci il valore e la necessità di prenderci il tempo per pensare, per assumerci le emozioni che ci attraversano, senza definirci. Possiamo adattarci ai cambiamenti non voluti e coglierne le opportunità sottese.

Purché la pazienza non abusi di noi, quando finisce di farci bene e inizia a farci male.

C’è un limite oltre il quale la pazienza cessa di essere una virtù”. (Edmund Burke)

Questo limite ha una sola forma: passiva. Subiamo la prevaricazione di chi scambia la pazienza con bontà d’animo o mancanza di personalità, di chi abusa della nostra disponibilità, di chi calpesta la nostra gentilezza. Per non perdere la pazienza in questo periodo sto meditando molto, scoprendo che talvolta ci nascondiamo dietro la cortina della calma, della lucidità, dell’autocontrollo per paura di lasciarci andare alla sofferenza, quello spazio - sostiene un'amica - tra stare con quello che posso rispetto a quello che voglio. Così sentiamo il dovere di armarci di santa pazienza. E ci armiamo, questo è innegabile. Ma consentitemi di sollevare dubbi sulla necessità di armarci di pazienza e soprattutto definirla “santa”.

La pazienza è un'abilità da coltivare piano piano. “La pazienza – scriveva Leopardi - è la più eroica delle virtù giusto perché non ha nessuna apparenza d’eroico”. Già, in fondo, il paziente è colui che soffre e va curato, nonostante ultimamente si preferisca chiamarlo degente, ospite, cliente. E come non dare ragione anche a Burton, quando sosteneva che la pazienza è un’abilità, il rimedio sovrano, insieme alla speranza, il rifugio più sicuro, il cuscino più soffice su cui giacere nelle avversità?

In questo momento non posso che condividere le parole attribuite a San Francesco di Sales:

“Ciò di cui abbiamo bisogno è una tazza di comprensione, un barile di amore e un oceano di pazienza”.

Un oceano di pazienza su cui imparare a galleggiare, ascoltando l’istinto anche quando suggerisce di nuotare contro corrente. Ora nuotare contro corrente per me significa proteggersi in un barile d’amore, persino d’amor proprio, per assumere quella tazza di comprensione, anche quando non c’è nulla da comprendere ma solo da accettare.

E sperimentare il semplice stare. Stare in silenzio e aspettare. Stare nel presente e percorrerne insieme l’essenza, per quella che è. Ecco, il concetto di "insieme" è oggi per me l’ingrediente magico della cura. È l’ingrediente magico della pazienza, quella fortezza d’animo che ci rende capaci di condividere una vita intera.

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