“Andiam, andiam, andiamo a lavorar…”
Fermi! Oggi no! Oggi, cari nanetti del mio cuore, non andate a lavorare. Al contrario restate a casa, siete in vacanza. Non guardatemi con quegli occhioni grandi: siete in vacanza, ovvero siete nel vuoto, in quel surreale stato di libertà da qualsivoglia “devo”.
“Vacanza… e quando mai?”
Quando decidiamo che è ora di prenderci una vacanza. Foss’anche un solo giorno di vuoto assoluto, in cui dormire, pigrare, stare senza voler avere niente da fare. Un giorno da vivere in modo diverso.
Non è facile, almeno per me. Non è facile ammettere che ho così tanti grattacapi da farmi sanguinare la testa, anche se sembro un’agile acrobata sul filo della positività.
Non è facile staccare la spina dell’accudimento costante.
Non è facile scoprirmi talmente stanca da non aver nemmeno voglia di lavorare su me stessa.
Non è facile abiurare ai ruolo ruoli che con fatica mi sono cucita addosso.
Non è facile chiedere aiuto e fermarmi.
Non è facile dire: “Non ce la faccio più”.
Non è facile, ma è fattibile, anche per me, inguaribile dipendente da qualsivoglia lavoro.
Eh, sì, ho passato la vita a lavorare: come brava bambina, poi studentessa, baby sitter, organizzatrice, ricercatrice, copywriter, creativa, redattrice, architetta d’informazioni, manager direttrice, imprenditrice, consulente, moglie e madre, freelancer e care giver.
Finché negli ultimi tempi mi sto rendendo conto che fin da piccola mi raccontavo di dover e voler lavorare per dimostrare che esistevo e che potevo essere utile, per sentirmi vista e anche per essere indipendente, per guadagnare, per un grazie, per darmi un senso, per innovare, per creare, per sperimentare, per dirigere, per migliorare, per nutrire, per crescere, per viaggiare, per fare e disfare. Fare e disfare per evitare quel vuoto che mi avrebbe costretta a stare ferma. Dannatamente ferma. Fa paura, eh? Fa paura, sebbene abbia sperimentato che l’obbligo di stare ferma per mesi, immobile in un letto, non era poi così drammatico. Non lo era perché ne andava della mia salute, del mio bene e quindi non la vivevo come costrizione ma come insindacabile necessità.
L’imperativo “Ferma!” per me ha sempre avuto quel tono basso da Commendatore di Don Giovanni che mi bloccava come una statua di marmo. Stamattina, mi sono svegliata immobile nel letto, con un corpo talmente stanco da non volersi alzare. E mi sono detta, con tono complice e persino compassionevole: “Ferma, hai diritto a un attimo di pausa senza fare assolutamente nulla. Hai diritto a un giorno di vacanza. Non muore nessuno, e se anche fosse non potresti certo salvarlo tu.” Già, sacrosanta verità. Posso, però, salvare me stessa, facendo dei cambiamenti.
Innanzitutto, posso dimettermi da questo ruolo di care giver e tornare a lavorare, nel senso primogenio del termine sanscrito labh, che letteralmente “significa afferrare, mentre, in senso figurato, vuol dire orientare la volontà, il desiderio, l'intento, oppure intraprendere, ottenere...”
Oriento la volontà, il desiderio, l’intento e afferro ciò che posso: che visione meravigliosa del lavoro!
Una visione che mi autorizza ad ammettere che ho bisogno di lavorare, perché mi piace, mi piace da morire, tanto da esser è vitale sentirmi parte di un progetto, ricercare, inventare, migliorare, scrivere, comunicare.
Ho voglia di lavorare perché mi sorride il cuore quando creo nuove connessioni e scopro incontri inattesi.
Ho intenzione di lavorare per uscire da una logica di accudimento ed entrare in una dimensione generativa, costruttiva, con entusiasmo e fiducia nelle mie e nelle nostre capacità.
Infine, non nego, ho necessità di lavorare anche per guadagnare, perché sto davvero spendendo troppo, energeticamente, emotivamente, concretamente.
E se il bisogno è un doppio sogno, lo assecondo, esprimendo il desiderio di viaggiare almeno con lo spirito e di assumermi (in) un nuovo lavoro, che profumi di mughetto ma abbia la tempra di una donna Liberty.
Una donna libera di abitare questa terra con curiosità, senza cadere nell'ambizione di diventare una macchina a pressione solo per essere al servizio degli altri.
Una donna fiorita e floreale che rispetta chi è, afferrando le possibilità che la vita le offre.
Con serendipity, as usual.
(in foto Stampa Liberty dietro a una delle prime macchide da caffè, ©MUMAC)
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