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Immagine del redattoreMargherita Pogliani

Faber quisque

Lunghi, dorati capelli al vento.

Una felpa oversize e jeans a zampa su gambe da gazzella.

Una bici turchese, nemmeno fosse appena uscita da Tiffany.

Ti sono sempre stata dietro, ma d’improvviso lo noto: sei avanti! Sei grande! Non sei più la mia bimba. Sei una giovane donna che percorre la sua strada, pedalando davanti a me, incontro alla vita, con l’entusiasmo da ottovolante che solo voi teen potete avere.

Come sentendo il mio sguardo ti giri e sorridi. E io, in meno di un secondo, rivivo 14 anni di puro amore, gioie, sfide, dibattiti, scontri, incomprensioni, connessioni profonde e commozioni. Sono tutti lì, come perline di una collana che per fortuna non mostra la fine. Sono lì, con il peso dei miei anni che si stempera nella leggerezza di percorsi e scelte di cui non ho rimpianti.

Il tuo sguardo maturo, il tuo sorriso sbarazzino giustificano una vita che fino a poco fa ruotava intorno alla sensazione di non meritare. Peccato che solo io potessi settare la bilancia del merito o demerito.

Faber est suae quisque fortunae, sostenevano i latini: “Ciascuno è artefice del proprio destino”.

Nel bene e nel male. Scegliendo o decidendo di non scegliere. Lasciandosi trasportare o guidando la nostra vita.

Retaggi e credenze - con cui inevitabilmente ci siamo difesi da bambini - condizionano il nostro presente, limitano i nostri talenti, privano il Faber delle sue capacità. Per fortuna, rispetto al passato, oggi possiamo sperimentare percorsi diversi, scavare nell’anima, trovare strumenti e conoscenze che abilitino a maggiori consapevolezze.

Per fortuna oggi possiamo decidere di cambiare. Shift: spostare il punto di vista.

Possiamo davvero assumerci la responsabilità di essere artefici, creatori, trasformatori della realtà in cui viviamo, non tanto per adattarla ai nostri bisogni, quanto per invertire la rotta: da distruttivo infantilismo a costruttiva maturità. Che non significa inibirsi momenti di esuberante leggerezza, anzi! Significa viverli senza paura di perderli, significa far tesoro delle esperienze, significa scrivere nuove storie dove finalmente ci sentiamo protagonisti e narratori.

Non è mai troppo tardi per sentire che meritiamo questa vita. Meritiamo di guardare i nostri figli che pedalano verso la loro strada e sorridergli con tenerezza, nel caso si voltino indietro. Pronti a raccontargli come eravamo, come siamo, come meritiamo di essere felici.

Sicuramente, come canta la tua band preferita: “You and me got a whole lot of history. We could be the greatest team that the world has ever seen”. Yea. Ma penso che saremo un superteam solo quando io ti lascerò libera di andare, osare, sperimentare.

Ci sarò se cadi, per tenderti la mano, asciugare le tue lacrime, offrirti il mio aiuto. Dietro le tende esulterò delle tue gimkane. Guardandoti negli occhi ti chiederò “Come stai?”, perché adoro ascoltarti e scoprire chi stai diventando. E se non vorrai rispondermi, aspetterò. Ma più di così, bimba mia, non posso fare.

Faber quisque. Siamo artefici. Diventiamo co-creatori, quando (ri)conosciamo i nostri e altrui limiti.

Come? Dando fiducia all’essere umano che si nasconde in ciascuno di noi.

Celebrando la vulnerabilità come unica condizione per costruire rapporti reali.

Mostrando le nostre fragilità.

Trovando il coraggio di cadere e risalire in sella, ammettendo, come insegna Einstein, che: “La vita è come andare in bicicletta. Per mantenere l’equilibrio devi muoverti.”

Muoviamoci, dunque, iniziamo a pedalare verso un’amorevole indipendenza. Che non implica distanza, distacco, solitudine, bensì incontro consapevole, voglia di esserci, a prescindere dal risultato.

Cara la mia meravigliosa creatura, sei un essere speciale, anche se lo siamo. Unici e in perenne cammino. Chiamati a un nuovo Umanesimo, che interpreto come Terenzio: “Homo sum, humani nihil a me alienum puto”. Sono un essere umano, niente di ciò ch'è umano ritengo mi sia estraneo.

Invidio, a maggior ragione, i tuoi studi in scienze umane, ma l’idea di poterle apprendere filtrate dal tuo spirito sensibile e critico mi riempie di gioia.

Come quando giochi a far la regina di denari. Come quando mi fai sorridere e via, voli. Perché:

(Che sia benedetta, F.Mannoia)

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