Il mio cane è convinto di essere un gatto. E il gatto di essere un cane.
Non scherzo: li abbiamo presi entrambi piccolissimi, sono cresciuti insieme, hanno condiviso simili liceità e richiami, hanno instaurato una relazione che va oltre la forma.
Peccato condizioni la sostanza, perché Cleo reagisce agli altri cani da perfetta gatta (pelo irto, abbaio e ringhio) e Ginger la sfida come nemmeno una tigre oserebbe.
Il vero problema è che queste loro “credenze” hanno impatto sulla vita loro e mia: la lupa è costretta al guinzaglio e a continue strette o deviazioni; il felino attacca ma spesso viene letteralmente ribaltato; io vivo all’erta, temendo di incontrare altri quadrupedi, quando desidererei solo uscire e godermi la passeggiata. Una delle rare passeggiate, aggiungo. Perché la sfiducia, la tristezza, la resa tornano a condizionarmi più dei nuovi decreti ingiuntivi. Briciole di emozioni che bloccano il passo, tolgono il respiro.
L'ansia si insinua come nebbia, generando quella sensazione di chiusura, distanziatimento dietro schermi e barriere di timore, anestetizzati in routine di equilibri precari perché non è mai davvero semplice con-vivere. L’attenzione concentrata sul corpo, la mente chiusa in una cassa di risonanza, i progetti rimandati, i viaggi sospesi, le chiacchiere intuite, le scoperte archiviate, il cuore sepolto per non immaginare nemmeno lontanamente la sofferenza di veder colpito qualcuno che amo.
Eppure, come diceva Schopenhauer, uno dei miei filosofi preferiti: "Ognuno prende i limiti del proprio campo visivo per i limiti del mondo".
Già. Quante volte diciamo, pensiamo:
“Non capisco. Non c’è niente da fare”
“Sono fatta così…”
“Ormai è tardi”
“Non cambierà nulla”
“Merito tutto questo”
“Non sono abbastanza…”
Non neghiamolo: tutti noi pensiamo di non essere abbastanza /forte/gentile/alta/bassa/magra/grassa /brava/bella/dura/buona/matura/intelligente e chi più ne ha più ne metta.
Le sentite? Asfissianti e pesanti, ci avvolgono le nostre credenze limitanti, che generano emozioni e azioni limitanti.
Temo abbiamo superato il limite, perché non è importante che le credenze siano vere o false, bensì riconoscere quanto sono funzionali.
Onestamente in questo periodo mi sembra di muovermi tra matasse di condizionamenti disfunzionali. Disfunzionali non solo all’obiettivo di guidare la mia vita, ma alla mia stessa quotidianità.
Due, quindi, le riflessioni: è utile individuare le nostre credenze limitanti, che rappresentano condizionamenti passati, ricordi soggettivi, conoscenze parziali, e metterle da parte con compassione.
Perché proprio con compassione? Perché:
“La compassione non è selettiva: come esseri umani tutti noi abbiamo un valore intrinseco e condividiamo aspirazioni, paure e battaglie simili. La compassione è una qualità della nostra coscienza che offre potere alla speranza. E’ eredità condivisa che viene da dentro e comincia sentendo empatia: un fondersi insieme delle emozioni, dove si piange insieme, si gioisce insieme, ci si emoziona insieme, perché siamo connessi. Si manifesta quando diciamo o facciamo qualcosa di gentile. Se accettiamo che le persone agiscano al meglio dal proprio livello di coscienza, la compassione fiorisce spontanea, aprendoci con fiducia e speranza alle opportunità” (Deepak Chopra).
In secondo luogo, penso sia costruttivo guardarci allo specchio e notare quanto le “nostre” esperienze riflettano le convinzioni interiori. È possibile che sia stata finora troppo severa? Esigente? Intransigente? Tutto è possibile, perché come asseriva Robert Dilts, le nostre convinzioni possono plasmare, influenzare o perfino stabilire il nostro grado di intelligenza, di salute, di relazioni, di creatività, addirittura il nostro grado di felicità. Ogni esperienza accade sullo schermo della mente. Lo schermo trasmette notizie di preoccupazione, ansia, paura. Innegabile: siamo nella paura. Ma non siamo la paura. Proprio in tempi così incerti possiamo chiuderci o aprirci a nuovi punti di vista. Trasformare o stare nelle nostre credenze limitanti.
Sempre Dilts nell’ultimo convegno internazionale Generative Change invita proprio in questa pandemia, a essere aperti e presenti, attenti a ciò che può succedere, domandandoci: “Cosa posso fare per me stessa e per gli altri, andando oltre l’isolamento?”. Il consiglio è fare il primo passo: connetterci con le nostre risorse, lasciar fluire la visione di quali emozioni vogliamo sentire, chi vogliamo essere, cosa vogliamo fare, dire, vedere per realizzare le nostre intenzioni.
Dicono che il cambiamento parta da un sogno e diventi azione, nonostante gli ostacoli, le interferenze, le barriere. Noi possiamo trasformare i problemi in una parte di soluzione e stabilire qualcosa di profondo nei nostri cambiamenti.
In fondo la nostra immaginazione non ha limiti.
La lupa tira sempre, ma più la rassereno più sembra comportarsi docilmente con i suoi simili.
Il gatto – da bravo cane - ama far la pipì contro le piante. Anche con lui provo a cambiare contesto, coprendo il terriccio con sassi e conchiglie che profumano di agrumi. E spero anche lui cambierà idea.
In mezzo c’è la coniglia che, non avendo vissuto insieme a loro è cresciuta come natura comanda: teme il cane, ignora il gatto e se si spaventa si ferma, scappa o morde (sì, è una coniglia mannara!). Pura natura. Puro istinto animale.
Rispetto a lei mi concedo di riflettere e scelgo di stare “tra persone vere. Uomini e donne che conoscano e riconoscano i propri limiti. Che abbiano un sogno che inizia oggi. Che dicano quello che pensano e che pensino quello che sentono”.
Quindi sto. Sto in uno stato creativo, percepisco gli ostacoli, li valuto ma sempre da una posizion aperta a trasformazioni e sperimentazioni. Vivo il presente e scelgo di praticare la miglior reazione in ogni situazione. Spesso e volentieri, è una vera (e non pietistica) empatia e compassione. Che apre cuori. E infonde energia.
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