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Collaborazione

  • Immagine del redattore: Margherita Pogliani
    Margherita Pogliani
  • 7 giorni fa
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 6 giorni fa

"Cercate collaboratori? È vero, vivo in un mondo virtuale ma potrebbe esservi utile."

Ripenso alle parole che portai al Corriere della Sera tren'anni fa, incise con la macchina da scrivere - sì, quella vera, con il nastro e il rumore dei tasti - e sorrido per tutte le profezie nascoste in quella lettera. Non sapevo che stavo seminando. Credevo di stare "solo" osando.

La firma era "Margherita Pogliani" scritta con il font Simbols - quei caratterini strani che sembravano piccoli disegni, liberi di essere interpretati come poi sarebbero diventate le emoticons. Sorrido realizzando l'intuizione inconsapevole del futuro digitale che ci aspettava. Che matta ero!

Mi chiamarono prima ancora che fossi tornata a casa in bicicletta. La voce al telefono era incuriosita: dalla frase, dalla firma, da quei simboletti che nessuno aveva mai visto su una lettera di presentazione. E da quella telefonata è nato tutto: anni di collaborazione al Corriere, l'assunzione per creare il primo network digitale dedicato a ViviMilano, integrato nel primo sito del Corriere della Sera.

E poi, naturalmente, la collaborazione si è spostata a ItaliaOnline, per realizzare e dirigere il primo portale d'Italia, divenuto Libero.it.

Un nome che oggi mi fa sorridere per la sua profezia nascosta: Libero.

Libero di essere. Libero di diventare. Libero di ricominciare.

Quando penso a quel percorso non vedo solo codici o pagine web. Vedo sogni che prendevano forma pixel dopo pixel, intuizioni che si facevano strada come quelle emoticons ante litteram nella mia firma.


Collaborazione Libero.it

(Grazie, zio Checco per avermi ricordato queste vecchie memorie!)


Tre anni dopo questa intervista nasceva la nostra tripletta che ancora ride quando racconto loro di un'internet che conteneva poche migliaia di siti. "Mamma, adesso ne nascono mille al secondo!" È vero. Ma allora ogni sito era un miracolo, ogni connessione una rivelazione.

Mi chiedevo sempre: "Perché dovrebbe interessare? A chi dovrebbe interessare?" Non era strategia. Era interesse autentico per le persone che sarebbero arrivate, cliccando, cercando, sperando di trovare qualcosa che ancora non sapevano di cercare.

Forse era quello, il primo seme del mio Serendipity Method. L'amore per gli incontri casuali che diventano destino.

E da quei primi semi sono fiorite tante stagioni: Dove per raccontare viaggi che diventano trasformazioni, Vogue.it creato insieme a Franca Sozzani per ridefinire il lusso digitale, VanityFair.it, Style e MenStyle per tessere narrazioni di bellezza autentica. Poi il media center Pirelli, i contenuti per MUMAC e le esperienze immersive su Google Art&Culture, il libro Senso Espresso che profuma di caffè e di storie italiane, Italian Creators per magazine che celebrava l'eccellenza che nasce dalle mani e dal cuore.


Dal "Sono" al "Posso": la metamorfosi del cuore

Ho smesso di presentarmi con quello che sono stata. Non perché me ne vergogni - anzi, porto ogni esperienza professionale come una medaglia al valore - ma perché ho capito che il presente è fatto di verbi attivi, non di sostantivi passati.

Non più "Sono quella che ha creato Libero.it" ma "Posso architettare ponti tra quello che siamo e quello che potremmo diventare".

Non più "Sono una giornalista esperta in digitale" ma "Posso ascoltare la tua storia affinché diventi un link di espansione".

Non più "Sono una digital strategist" ma "Posso trasformare una visione in realtà che respira e ispira".

È una rivoluzione silenziosa, questa. Come quando le gemme spaccano i rami in primavera: dall'interno verso l'esterno, con una forza gentile che non si può fermare.


Così oggi, in questo primo giugno che profuma di ciliege e albicocche, sento che tutti i semi che ho piantato - anche quelli che credevo morti, anche quelli dimenticati negli angoli bui dell'esperienza - stanno simultaneamente dando i loro frutti.

C'è una gioia antica che riconosco in questo momento.

È la stessa che provavo quando, davanti allo schermo luminoso di quegli antichi computer, intuivo che stavamo creando qualcosa di più grande di noi. Non sapevamo cosa, ma sentivamo il fremito della storia che si faceva.

Ogni progetto, un seme. Ogni collaborazione, una fioritura. Ho imparato che la collaborazione non è solo una parola professionale da inserire nei curriculum. È una parola che porta dentro di sé tutta la magia del nostro essere creature sociali:

  • Il co dell'unione - non la somma, ma la moltiplicazione

  • Il labor del lavoro condiviso - fatica che diventa danza

  • L'azione che genera cambiamento - movimento che crea bellezza

Oggi creare collaborazioni è diventata la mia forma più alta di preghiera laica. Mettere insieme persone che hanno bisogni complementari, creare incontri che diventano alchimie, facilitare quei "click" umani che cambiano traiettorie.

Perché si può aver bisogno anche di un abbraccio. Si può aver bisogno di uno sguardo che riconosca.


Ho avuto il privilegio di conoscere anime che creano bellezza con le emozioni, con le mani, con il cuore, con l'intuizione. Professori che scendono dalla cattedra per condividere lo spettacolo del loro "Historytelling" (favoloso!), maestri artigiani che trasformano la materia in poesia, imprenditori che vedono futuro dove altri vedono problemi, artisti che trasmutano la materia in pura energia.

Sono loro che mi hanno insegnato il vero significato italiano di collaborazione, semplificato in quel "Made in Italy” che è diventato sinonimo di ingegno, di cura, attenzione al dettaglio che diventa arte nella capacità di vedere il divino nel quotidiano.

Diffondere la loro luce è diventato il mio scopo più nobile.

Perché quando racconto un artista, un creatore, un maestro artigiano, non sto facendo marketing. Sto testimoniando la meraviglia della cura e del coraggio di esprimerla.


"Come stai?" è la prima domanda. Non (solo) per abitudine o cortesia, ma perché la risposta mi dice tutto quello che voglio sapere su come possiamo collaborare.

Se stiamo attraversando un inverno dell'anima, ci accompagnamo verso la primavera che ci meritiamo. Se siamo in piena fioritura, ci aiutiamo a spargere i semi più lontano. Se siamo in un momento di trasformazione, stiamo accanto mentre la crisalide si spacca e nascono le ali.

È tutto così semplice, in fondo. E così sacro.


Mentre scrivo queste parole, sento nell'aria la stessa elettricità di quando, trent'anni fa, una ragazza di nome Margherita osava chiedere di collaborare con il futuro.

Così riscrivo la mia presentazione, qui e su Linkedin, riconoscendo che semi che ho piantato allora - nella terra vergine di un'internet neonato - stanno finalmente dando i frutti che non osavo sperare. Storifai, faccio storie, non le racconto; il documentario su Regina Margherita prima talent scout d'Italia; il metodo Serendipity e Travelemotion, insieme a tutti i progetti che si stanno aprendo come fiori al sole... Faccio, non più solo "sono. L'azione è uno stato d'essere e non sono i risultati ma come li raggiungiamo (ri)fiorendo ogni giorno.

Ora finalmente sento che è il momento di piantare semi nuovi. Semi che i miei figli vedranno diventare foreste. Semi che attestano che è tempo di smettere di dire "sono" e iniziare a dire "posso". È tempo di collaborare con il miracolo che siamo, che possiamo diventare insieme.


P.S. Il primo giugno del 2025 sarà sempre, per me, il giorno in cui ho smesso di aver paura di essere, per iniziare a fare.

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©MargheritaPogliani 2019

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