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Immagine del redattoreMargherita Pogliani

BlackOut, LightIn


Blackout Lightin Star Dying by Nasa

 

Blackout: tutto diventa buio, non c’è più energia, sprofondo in un abisso fuor d’ogni spazio, tempo o logica. Sfumano i contorni, la realtà si blocca e implode, come una stella che non aspettava altro da milioni di anni.

Blackout, dentro e fuori. La paralisi è nera e polverizza qualsiasi senso, qualsiasi contatto. Il panico prende il sopravvento. Poi, silenzio...

Blackout: quanti ne abbiamo avuti nella nostra vita? Io tanti, implosioni che sembrano non aver lasciato traccia, eppure sono ancora così vivide nelle mie memorie cellulari.

Se ci ripenso, ogni volta crollavo, mi spengnevo, mi arrendevo in una paralisi irreale, impossibile da governare. E proprio in quella resa irreale mi ritrovavo a respirare. Spiravo e respiravo, mi spengnevo e mi accendevo. Blackout, Lightin. Black-out, Light-in.

 

È proprio vero che dobbiamo morire a noi stessi per poter rinascere. È proprio vero che dobbiamo arrenderci per renderci conto che volendo abbiamo tutte le energie per riaccendere quella luce che ci anima, quella luce che ci fa voltare e scegliere: torno a vivere.

Mi è successo anni fa: una tramvata, metaforica e reale. Mi sentivo così wonder, driblando impavida le onde della vita Credevo d’esser così sovrana dei miei regni immaginari che ho ignorato un segnale, un segnale arancione. Anzi, ho sfidato quel semaforo che pretendeva di dettarmi i suoi di tempi e mi sono schiantata contro un tram. Io, con la mia bici e l’anello di mia nonna ho preso la tranvata più forte che la vita potesse darmi.

Blackout. Lightin. Buio totale, fine. Luce pazzesca, inizio. Inizio di una nuova vita dove a testa alta incedevo con passo flemmatico, come nel Regno dei Cieli. Lo ricordo bene, quel tunnel bianco, ovattato come le nuvole che disegnavamo da bambini, denso di pace e speranza. Uno stato di meraviglia, dentro una meraviglia.

Così bene non ero mai stata. Giuro, non ero mai stata, nemmeno durante la più incredibile estasi d’amori. Quella dimensione era puro Amore, in ogni senso. Aveva un profumo seducente e appagante, una luce che rifletteva più colori di quanto lo scibile possa immaginare, era soffice e avvolgente come un’impalpabile stola di cachemire tessuta a mano, proprio come quelle che crea la mia amica Itati, selezionando solo il “vello d’oro” delle sue caprette e intessendolo con lentezza, maestria, rispetto. Un tessuto non tessuto, privo di cuciture, per carità! Perché l’Amore non vuole cuciture né definizioni. Certo, possiamo leggerlo come “A-Mors”, mancanza di morte, o come “A-Mer”, quella prima lettera che per gli antichi egizi rappresentava l’Uno Divino, che portava due esseri a unirsi, come due poli di un magnete, “del tutto istintiva e passionale, capace di creare nuova vita e di conservarla, potenzialmente per sempre”.

 

Forse, proprio quella capacità di Amore ho scelto di (ri)scoprire, obbligandomi a tornare indietro per verificare se già avessi creato nuova vita e fossi ancora in grado di conservarla.

“Signora, ha figli?” urlavano intorno a me. Io non lo sapevo, ero lì sospesa in una dimensione senza memoria e confini. Stavo da Dio, ma la domanda mi disturbava: avevo figli? E se sì, come avrebbero fatto senza una mamma? Proprio quell’a-Mer, da cui dicono derivi persino il nome di Maria, mi ha spinta a voltarmi e tornare indietro. La ricordo come una scelta consapevole: la scelta di ri-animarmi, per ri-conoscermi, per ri-amarmi.

Il resto è storia: i miei figli avevano solo sei anni e appena tornata a casa dall’ospedale mi hanno accolta dicendomi: “sembri un Gormita, quando ti rompi diventi più forte di prima”.

 

BlackOut, LightIn: proprio quando sprofondiamo nei nostri abissi più neri possiamo, dobbiamo ricordare che, come scrisse mia figlia anni luce fa,


“Se ieri non sei stata amata, oggi amati per due”


Sì, bimba mia straordinaria, oggi mi amo per due: per quella che ero e per quella che sono. Per la donna che ha avuto il coraggio di fermarsi, voltarsi e tornare e per la Margherita che si è (ri)scoperta.

Grazie, Black, per avermi portata in Light e avermi permesso di ridarmi alla luce.

Grazie, A-Mer, per avermi ricordato che posso, come tutti, riAnimarmi per riAmarmi.

In fondo non è il sogno di una stella implodere per poi brillare per milioni di anni?

BlackOut, LightIn...


PS: il tunnel che ricordo era incredibilmente simile a questa immagine scattata da Nasa di una stella morente: non è pazzescamente stupenda? Che meraviglia, l'Universo che abitiamo, anzi, mi correggo: che meraviglia l'Universo che ci abita!

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