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  • Immagine del redattoreMargherita Pogliani

Amor proprio

Ho sognato questa notte una notte incantata.

La volta celeste illuminava l’oscurità con stelle sospese intorno a una luna rossa, calda, irreale.

L’eclissi dominava la terra, quasi volesse infondere proprio ogni sfumatura del sogno di un amore.

Un amore travolgente, sospeso nel tempo e nello spazio.

Un amore infinito che ignorava ogni limite, ogni ragione, ogni pensiero.

Il cerchio di rocce rosate, purpuree, argentate, rendeva sacro quel luogo dove un uomo e una donna si stavano fondendo come le metà perfette della stessa mela.

“Credi nelle favole?”, le chiese Lui scostandosi quel tanto da tuffarsi nei suoi occhi. “Si”, rispose Lei, affogando in un bacio il pensiero che le vere favole non hanno mai un lieto fine.

“Avrò cura di te, per sempre. Fidati di me”, le sussurrò sollevandola da terra come un petalo di fiore.

E bendandole gli occhi la portò oltre la collina, dove li attendeva un arcobaleno. Lì presero il volo tenendosi per mano, come Wendy e Peter Pan, verso l’isola che non c’è. Volarono lasciandosi accarezzare dall'aria delicata e complice del loro amore. Volteggiarono nel cielo infuocato, quasi non esistesse più alcuna realtà. Sublimarono le loro fiamme gemelle in una sincronia d'amorosi intenti che il demiurgo più dotato non avrebbe potuto nemmeno ipotizzare. Insomma, si amarono, convinti di essere sulla buona strada per raggiungere l'Isola che non c'è. Che ingenui! Non ricordavano che fin dalla stesura originale l’isola si chiamava Peter's Never, Never, Never, Land? Never, never, never, dong, dong, dong: come hanno fatto a non ascoltare quei rintocchi di una fine ineluttabile? Avrebbero dovuto svegliarsi, sì, svegliarsi perché era troppo bello per essere vero. Ma loro sognavano la favola da quando i loro sguardi si erano incrociati e lei era arrossita senza riconoscerlo. Aveva abbassato il viso davanti alla sua bellezza e quando l’aveva rialzato le sue braccia la stavano già abbracciando in un gesto talmente intimo e naturale da sembrare presente da sempre. “Come stai?”, sono state le prime parole a ridestarla. “Bene”, aveva risposto automaticamente lei, correggendosi subito con un “insomma” sospeso sul filo del rasoio. “E tu?” l’aveva rincalzato Lei, facendo un passo indietro per guardarlo meglio, senza calcolare che così sarebbe caduta per sempre nei suoi occhi malinconici, verde azzurri come gemme di eucalipto. “Io ora sono in pace”, aveva sussurrato lui, aprendo il cuore proprio a Lei, neve di inverni passati. E la neve lo aveva accolto con un calore che non sapeva di possedere e Lui la aveva illuminata con tutte le sfumature possibili e impossibili. Avevano trasformato quella notte in una polvere di stelle che cauterizzava la loro perenne ricerca dell'altra metà per sentirsi interi. Avevano ammirato il sorgere del nuovo giorno, perdendosi in quell'alba con la forma del loro amore: esclamativo come l’emoji che Lui aveva imparato a usare solo quando aveva conosciuto Lei. Era il loro simbolo, il simbolo del volo pindarico di due giovani acrobati funamboli, inceneriti sul filo elettrico del paradosso più abusato in materia: “Mai più per sempre io ti amerò”.


“In piena notte all’alba mai più per sempre io ti amerò”.

(J. Prévert)

 

Che sublime sintesi della proiezione di un amore che danza tra il nulla e l’eterno, tra finito e infinito, tra un passato lontano e un inaccessibile futuro. Un amore che non esiste, perché se è vero che l’unica realtà è quella che percepiamo nel solo tempo possibile, il qui e ora, allora non potrà essere mai per sempre.


Mai per sempre è l’innamoramento che ben riassume nella parola stessa quella pulsione che spinge da un nulla a un eterno, da un finito a un infinito, da un ideale a un reale. L’antropologa Helen Fisher ha brillantemente dimostrato con la risonanza magnetica funzionale che l'amore romantico (per me innamoramento) è "una pulsione reale, attivata in una minuscola zona vicino alla base del cervello da cellule che producono dopamina. Questo stimolante naturale viene distribuito nella parte del sistema di ricompensa del cervello che si trova molto al di sotto del processo cognitivo del pensiero. Addirittura, sotto le emozioni".

La pazzia d'amore trova un senso e una dignità se osservata come istintiva, naturale dipendenza perfetta, meravigliosa, quando va bene, ma orribile quando va male. Non a caso, si attiva nella stessa regione cerebrale della cocaina".

Eccolo spiegato il nostro insaziabile bisogno d’amore: una droga che non passa, nemmeno prendendone più dosi. Un’ossessione che ci possiede, facendoci perdere ogni percezione. Facendoci credere che il sogno sia reale.

Oltre 2000 anni fa l’aveva già intuito Platone: “Il dio dell’amore vive in uno stato di bisogno. È un bisogno. È un’urgenza. È uno squilibrio omeostatico. Come la fame, o la sete, è quasi impossibile da evitare.” Allora, se l’amore è dentro di noi, profondamente integrato nella nostra natura, possiamo smetterla di perorare il sogno di un’unione che ha bisogno dell’altro per esistere.

Possiamo riconoscerci nella nostra interezza e unicità. Possiamo amarci e gustarci nel semplice, solo, qui e ora. In fondo, come ripeteva Louise Hay, "Amati sempre e comunque, l'Universo non ti vuole perfetto, ti vuole felice".


"Non ci fu mai più inizio di quanto ce n’è ora, né più gioventù o vecchiaia di quanta ce n’è ora, né vi sarà più perfezione di quanta ce n’è ora, né più cielo o più inferno di quanto ce n’è ora." (W. Whitman)


Nulla accade per caso: San Valentino mi urtava da decenni perché non trovavo giusto festeggiare l'amore un giorno all'anno. Ho sempre pensato che l'Amore con la A maiuscola vada celebrato tutti i Santi giorni, grati perché ci nutre, ci illumina, ci sostiene, ci è vicino nella buona e nella cattiva sorte. Io stessa ho amato, amo e amerò ancora con passione o compassione, leggerezza o profondità, nel modo più puro come nel più impuro. È stata l'idea dell'amore a eclissarmi, oscurarmi, annientarmi. Il sole ha bruciato le mie ali finché sono tornata con i piedi per terra, riconoscendo che esistono innumerevoli forme di amore: filiale, materno, coniugale, fraterno, amicale, platonico, egoico o passionale che ci fa perdere la testa. Ma l'Amore, quello con la A maiuscola, è per me l'Amor proprio, magnetica energia che mi fa girare la testa verso lo specchio, invitando i miei occhi ad innamorarsi per amarsi ogni giorno di più, mentre si promettono:

“Mai più per sempre; ora io ti amerò”.

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