Mi sfiori il volto, ti insinui tra le mie braccia, in un’intesa avvolgente. Mi copri, m’immergi, mi sostieni, mi riempi di infinito.
Sei nell’anima e sei in acqua, tesoro mio.
Quanta ne è passata sotto i ponti dall’ultima volta che abbiamo fatto l’amore, guarda caso proprio in acqua, come la prima volta.
Quanta ne abbiamo ingoiata per non perderci in un bicchiere d’acqua.
Con quale energia ci ha riportato in superficie quando tutto sembrava andare a picco, quando anche l’aria diventava cenere…
Manchi, Guido, tanto, troppo. Non posso trattenerti né riportarti a noi ma posso lasciarmi, lasciarti andare.
Non è facile, sai? Eppure proprio in acqua facendo il morto mi rendo conto quanto sia più naturale lasciarsi andare piuttosto che andare a fondo.
Così scorri nei miei pensieri non più come le ondine del lago che un anno fa ti hanno accolto, plumbee testimoni di un dolore granitico, ma come acqua azzurra, acqua chiara. Senza cantarmela, oggi nei tuoi occhi posso finalmente stare, grata di tutto - ma proprio tutto - ciò che ci è stato concesso vivere: i nostri sogni, le nostre maree, i nostri figli. Vedessi che meraviglia stanno diventando! Sono vele al vento eppure arrivano sempre in porto, navigano a vista con rischio di ammaraggio ma stanno diventando capitani della loro vita.
Un anno fa ti aggrappavi a me come un naufrago, oggi come un’onda mi lambisci, ti ritiri e scorri nella nostra vita.
Già, πάντα ῥεῖ, "tutto scorre". Peccato aver realizzato così tardi quanto fosse importante lasciarsi scorrere: abbiamo costruito dighe quando ci sarebbe bastato fluire con le sensazioni che provavamo. Abbiamo coltivato durezza ignorando quanto possa essere distruttiva. Ci siamo trincerati sulla scogliera delle convinzioni, illusi che non saremmo mai crollati. Ma le lacrime erodono, manca la terra sotto i piedi e io mi sono letteralmente rotta: sono inciampata nei miei stessi passi, il giorno della festa dei 18 anni dei ragazzi e, per non rimetterci la faccia, ho perso il polso della situazione. Un gesso, una piastra e sette viti dopo, convinta di esser ormai diventata bionica il destino mi ricorda che sono fatta di carne (oltre che di ossa) e che devo cambiare pelle per un sospetto melanoma.
Un tempo mi sarei appoggiata a te, mia roccia, per non perdere definitivamente l’equilibrio. Oggi mi tuffo, perché dopo aver
nuotato insieme per oltre vent’anni, temendo l’abisso e assaporando la magia della luce che torna a svelarsi, abbiamo fatto così tanti giri di boa che oggi confermo: navigare è comunque dolce in questo mare. Tu resti d’amare.
Ps: quando eravamo in vacanza in Francia ti alzavi sempre all’alba (beh, in realtà era tua abitudine!) e ci svegliavi con baguette, croissant, pain au resine e au chocolate appena comprati, invitanti e croccanti come la giornata che avevamo davanti. Un gesto che ha tuttora il tuo sorriso sornione, tanto che stamane, appena rientrati in una Milano deserta, sono riuscita a scovare un’autentica Boulangerie (incredibilmente aperta!) dove realizzare tuffarsi per celebrare questo anniversario con i nostri figli, assaporandolo nella dolcezza appagante di un sapore condiviso, mentre tifiamo per campioni olimpici come faresti tu, con tutta l’anima. Perchè in fondo, come mi ha appena scritto un’amica preziosa, che di maree se ne intende: “oggi puoi sperimentare e assaporare quell'attraversamento del vivere che ieri ancora non c'era”. E, aggiungo, mi auguro anche tu!
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