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  • Immagine del redattoreMargherita Pogliani

Un seme in dono

L’usanza di ricevevere un dono, a Ferragosto, dai proprietari terrieri risale al 18 A.C., quando Augusto istituì un periodo di riposo e di festeggiamenti per celebrare la fine dei lavori agricoli.

Parimenti la ricorrenza assimilata dalla Chiesa Cattolica attorno al VII secolo, di celebrare l'Assunzione di Maria ha radici legate al dono: la volontà di dare “certezza al cuore”.

Solo in periodo fascista si sviluppò la tradizione popolare della gita turistica, con i “Treni di ferragosto” a tariffe agevolate, per gite di uno o tre giorni, con pranzo al sacco.

Perché lo racconto? Perché il tema del dono mi ronzava in testa da diversi giorni, da quando un amico ha reso lapalissiano con la sua morte il dono della vita, di cui penso non siamo mai abbastanza grati.

La mia gratitudine è elevata alla potenza dalla nascita dei tre gemelli, che scientificamente non avrebbero mai potuto nascere perché due erano monozigoti, in una stessa sacca amniotica. Eppure… Eppure, anche in quella situazione ho preferito seguire l’istinto e ignorare le statistiche, perché sentivo che quelle vite erano un dono da celebrare, non da temere di perdere.

Ecco, questo per me è il dono: crederci.

Credere che la vita mi riservi sorprese.

Credere che ogni esperienza sia un tassello evolutivo per la mia esistenza.

Credere che la gentilezza non sia un comportamento ma un profondo valore, da alimentare con rispetto.

Credere che la consapevolezza sia un autoaiuto che posso essere in grado di offrire costantemente a me stessa.

Credere che lavorando sulle emozioni posso trovare un equilibrio e un benessere profondo.

Credere che l’importante sia l’essenza, non la forma.

Credere che donando diventerò più ricca.

Credere che l’intenzione sia più potente della volontà per raggiungere un obiettivo.

Credere che il perdono (in primis di me stessa) sia la base per amare (in primis me stessa).

Credere nell'amore, con gratitudine.

Perdono. Gratitudine. Amore. Esattamente un anno fa tornavo da un’esperienza meravigliosa a Maui. Meravigliosa perché non avevamo solo scambiato casa ma condiviso culture così diverse, dove ho scoperto che Aloha non significa solo ciao, ma “presenza del respiro”. Aloha è uno stile di vita, è Presenza, è “Amore che fa vivere dentro la pienezza del nostro essere”, perché deriva dalle cinque lettere che la animano:

A: Ala, cioè Attenzione, o Akahai, Gentilezza; L: Lokahi, essere in armonia con l’Unità (lokahi è il perfetto triangolo tra spirito, natura e umanità).

O: Oiaio, onestà, verità, o Oluolu, Piacevolezza; H: Ha'aha'a, Umiltà; A: Aahonui, Pazienza e Perseveranza.


Aloha vuol dire che sono una parte del tutto e il tutto è una parte di me.

Così ecco spiegato anche il profondo senso di gratitudine che ho provato stamattina ricevendo l’augurio di Daniel Lumera di celebrare il miracolo della vita piantando, in maniera simbolica un seme.

"Può essere un seme di qualsiasi cosa, un seme anche piccolo, non necessariamente di un albero, nella terra e annaffiarlo dolcemente. Affinché questo seme possa essere il seme del perdono, della riconciliazione dell’essere umano con la natura e simbolo della cooperazione, dell’armonia e dell’alleanza. Perché in fondo, basta così poco. Basterebbe un po' di meraviglia. Concedersi il tempo per ascoltare. L'infinita bellezza di madre natura. Quella gentilezza che ci fa respirare. Ricordare. Che i fiori crescono ancora ovunque. Che in questa terra siamo insieme. A volte basta un semplice seme. Il seme della gentilezza. Affinché ogni istante sia una celebrazione consapevole del miracolo della vita. Che ogni momento sia la festa dell’Eternità che ci portiamo dentro”.

Grazie, caro Daniel, perché ogni momento merita di esser celebrato per il miracolo del respiro. Un dono così vitale da apparire scontato.

Ma se tutti ci assumessimo la responsabilità di non sprecarne nemmeno uno, di proteggerlo con attenzione, di ascoltarlo come il respiro del mare in una conchiglia, allora diventerebbe molto più chiaro il fatto che siamo responsabili al 100% della nostra vita e delle cose che ci accadono. Perché il resto… il resto è tutta nostra creazione, è pura proiezione della mente giudicante.

Non siamo vittime di tutto ciò che ci affligge. Non c’è nulla che ci “riscatti”, se non riconoscere il dono della vita, respirando profondamente e ammettendo “Mi dispiace, perdonami, grazie, ti amo”, come la filosofia Huna insegna da millenni.

Trovo molto valida questa semplice pratica per assumerci la facoltà di cambiare le cose, riscrivendo gli input che ci arrivano dalla sfera dell’inconscio e vivendo fuori dagli schemi. Perché la nostra sfida e lotta possono diventare la nostra missione, la nostra intenzione.

Siamo impalpabili respiri, ma ogni volta che investiamo in noi stessi diventiamo piccoli, grandi, semi di cambiamento, oggi più che mai vitale.

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