“Sei una strega”.
Oh, certo, sono decisamente una strega se consideriamo il termine nel suo significato originario: dal sanscrito strīka, feminin, donna.
Sono una donna e amo volteggiare tra sogni da realizzare e favole sognate.
Sono una donna, mi ingegno per trasformare i desideri in realtà.
Sono una donna, sensibile alle emozioni.
Sono una donna e ancora mi meraviglio.
Sono una donna e non concepisco la violenza se non come limite da violare.
Perché non mi appartiene: sono fatta per dare vita. Ma, non la mia vita.
E chi commenta “Se l’è cercata”, mi creda: nessuna di noi se la cerca.
Tutto cerchiamo fuorché la violenza.
Cerchiamo dolcezza, cerchiamo bellezza. Cerchiamo vita, cerchiamo amore.
Cerchiamo la magia, sicuramente: la magia di creare, nutrire, curare, accogliere, esistere.
Cerchiamo tutto ciò che accade come per magia.
È motivo sufficiente per esser giudicate, usate, condannate?
No, vero? Eppure dovremmo manifestare contro la violenza sulle donne ogni singolo giorno. Perché ogni giorno ci sono migliaia di “incidenti domestici”, infinite occasioni per metterci al rogo con un’occhiata che brucerebbe un sasso, con una critica che incenerisce, con un preconcetto tanto soffocante quanto fumoso.
Troppo sensibili? Sicuramente. Ma non nascondiamoci dietro la presunta emotività. Alzi la mano chi non ha mai subito violenza psicologica? Tutti ne soffriamo e troppo spesso chiniamo il capo, deglutiamo la nostra cicuta quotidiana e ci sentiamo persino in colpa.
Senza volere entrare in stereotipi di genere, mi permetto di parafrasare Margaret Atwood, (sostituendo uomini e donne): “La forza ha paura che la sensibilità rida di lei. La sensibilità ha paura che la forza la uccida”. Peccato che anche l’umiliazione uccida. La svalutazione uccida. L’insicurezza uccida. Come uccidono i silenzi che lapidano come massi.
Ho giurato di non stare mai in silenzio, in qualunque luogo e in qualunque situazione in cui degli esseri umani siano costretti a subire sofferenze e umiliazioni. Dobbiamo sempre schierarci. La neutralità favorisce l’oppressore, mai la vittima. Il silenzio aiuta il carnefice, mai il torturato. (Èlie Wiesel)
Usciamo dall'acqua e senza vittimismo schieriamoci per far fronte comune contro quella che è stata definita "la più flagrante manifestazione del potere”. Il potere inteso in senso maschile, mentre potere al femminile diventa verbo. Attiviamoci, dunque, giacché possiamo. Possiamo vivere, non sopravvivere, senza intrecciare patti con il Diavolo, ma mettendo in pratica le arti che ci sono date: empatia, sensibilità, comprensione, passione, intuito, tenacia, energia.
Possiamo sostenere e sostenerci, offrendo quel filtro d’amore che le leggende idealizzavano nella mandragora. Amore per noi stesse, in primis da proteggere con dignità e rispetto. Non amore da manifestare per non sentirci sole.
A tal proposito, mi ha intrigata leggere che la solitudine di Abramo si sia manifestata proprio con la mandragola, che custodisce nelle viscere della terra il suo segreto e il suo potere: è una pianta abbastanza insignificante, con foglie appariscenti e fiorellini azzurri ma sotto ha radici che spesso assumono le sembianze di un piccolo uomo. Quindi la solitudine ha la forma di un piccolo uomo, da cui deriva l’usanza in tutta Europa di identificare la radice di mandragora antropomorfizzata come “Homunculus”: un essere vivente da trattare con cura perché non si arrabbi e tenga lontano il male.
Homunculus… vi rendete conto? Per secoli abbiamo accarezzato e perseguito la credenza di vestire, lavare, trattare con grande attenzione un piccolo uomo affinché non si sentisse solo e non se ne avesse a male, perché altrimenti si sarebbe presto vendicato facendo fuoco e fiamme. L’homunculus nonostante tanti sforzi non si è detto mai appagato e ha fatto fuoco e fiamme per uscire dal suo stereotipo, cacciando le streghe nemmeno fossero persone diverse dalle donne che l’avevano generato e curato.
Questa riflessione non vuole essere un processo, anzi. Vuole essere uno spunto per comprendere perché, come sosteneva John Lennon, “Viviamo in un mondo in cui ci nascondiamo per fare l’amore, mentre la violenza e l’odio si diffondono alla luce del sole”.
La violenza, l’odio sono gesti manifesti di un uomo che si sente piccolo e solo mentre vuole esser riconosciuto grande. “L’ultimo rifugio degli incapaci”, definiva la violenza Asimov.
E noi? Noi vogliamo restare piccole e convivere con piccoli?
Che beneficio ne abbiamo a fingere di non esser capaci? Perché, onestamente, noi possiamo. Possiamo svelarci, anche se significa farci violenza.
Possiamo attraversare la paura con coraggio. Quante donne hanno sacrificato la propria vita per dimostrarlo? Troppe. Rendiamo loro onore.
Ricordiamo chi ha avuto il coraggio di immolarsi per un “No!”
Ricordiamo chi ha avuto l’ardire di denunciare e ricominciare.
Ricordiamo chi ha trasformato la gentilezza e compassione in bacchetta magica contro la violenza. Ricordiamo chi ci insegna che si vince insieme, mai da soli.
Ricordiamo chi ha scavato dentro di sé per sciogliere la rabbia che inevitabilmente ci corrode.
Parole, parole, parole. Vero. A maggior ragione, allora, ricordiamo chi si è messa a nudo per parlare, per parlarne.
“Le parole hanno uno strano potere. In mani esperte, manipolate con brio, vi imprigionano. Si avvolgono alle vostre membra come una ragnatela, e quando siete stregati al punto da non poter più fare un gesto, vi attraversano la pelle, si infiltrano nel vostro sangue, paralizzano i vostri pensieri. Dentro di voi, compiono la loro magia”.
(Diane Setterfield)
Riconosciamo il potere delle parole. Usiamole come fossero la nostra magia, per condividere e confrontarci, creando cerchi dove concentrare le forze e svelare segreti. Senza timore di essere giudicate: streghe lo siamo di natura.
Sviluppiamo le nostre energie, cancellando i demoni nell’ombra e riconoscendo i lupi mannari.
Togliamo le maschere e riconosciamo il nostro potere, sentendoci libere di agire come insegna il codice morale di tutte le streghe: "Non fate del male a nessuno, fate ciò che volete".
Poi balliamo intorno alla vita con entusiasmo e ritroviamoci in rituali di gentilezza. Nutriamo i nostri figli con filtri di fiducia e sicurezza, affinché possano dire “Basta” alla violenza, senza inventarsi formule diaboliche. Facciamo un patto con la fatina che è in noi, affinché non disperda polvere di stelle per gli altri prima di aver salvato se stessa. E specchiamoci perché siamo mortali, non wonderwomen. Ammetto: non esiste pozione per trasformare un piccolo uomo in un grande uomo, ma credo che noi possiamo sempre usare i nostri poteri. Senza torturarci invano: tutto non si può controllare, però possiamo volarci sopra, a volte anche con gran soddisfazione.
Infine, riconosciamoci l’incantesimo più bello: la magia della vita. Soprattutto nelle notti più scure.
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