A volte basta un profumo per ridarci un senso. La memoria olfattiva di frasi sepolte che rinvengono all’improvviso. Il profumo del mughetto, il fiore dei lavoratori, risuona in me con le famose terzine di Dante:
«"O frati," dissi, "che per cento milia perigli siete giunti a l'occidente, a questa tanto picciola vigilia d'i nostri sensi ch'è del rimanente non vogliate negar l'esperïenza, di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza".»
(vv. 112-120)

Fu mio nonno, Renato Dugnani, a insegnarmi il valore di entrambe: i mughetti e “seguir virtute e canoscenza”.
Un galantuomo d’altri tempi, così lo ricordo. Di origini nobili, nacque nel 1901 e visse gli anni della fanciullezza nella più totale spensieratezza, in una Milano che fioriva di palazzi e opere d’ingegno. Ma a soli 12 anni perse il padre, a 13 iniziò la Prima Guerra Mondiale, a 15 anni morì al fronte suo fratello maggiore, insieme ad altre 22 milioni di persone. Arrivò poi il pericolo dell’influenza spagnola che lo accompagnò fino al suo ventesimo compleanno, uccidendo 50 milioni di persone. Quando avrebbe potuto ritrovare un po’ di leggerezza iniziò la Grande Depressione che fece scendere il PIL mondiale del 27%. Il paese quasi crollò insieme all'economia mondiale e lui crollò anche per la morte improvvida e improvvisa del suo amato fratello minore, nel ‘33.
Quando compì 38 anni iniziò la Seconda Guerra Mondiale che lo vide ancor più responsabile di una madre vedova, due sorelle, una moglie incinta e successivamente 4 nipoti rimasti orfani. Ogni giorno dedicava ore per attraversare il lago Maggiore, raggiungere la sua fabbrica e motivare i suoi operai, come fosse un padre. La sera nonostante il coprifuoco tornava nella villa dove mia nonna si barcamenava tra fascisti arroganti di giorno e partigiani bisognosi la notte. 75 milioni di persone morirono in quella guerra, tra cui diversi suoi parenti. Passò la guerra di Corea, del Vietnam, la svolta nella guerra fredda. Investimenti sbagliati, azionisti imbroglioni, mutevoli situazioni di mercato lo provarono duramente.
Eppure sopravvisse a tutto ciò, lasciando importanti eredità d’affetti e di “virtute”.
Sopravvisse eretto e fiducioso, sostenuto da un animo nobile, dove imperava una rigida coerenza con i valori che l’avevano nutrito fin da bambino: onestà intellettuale, radicata responsabilità personale e sociale, generosità, solidarietà, correttezza morale, impegno profondo, dedizione per la famiglia.
Ricordo di lui soprattutto una cultura profonda, una nobiltà d’animo, unita a una gentilezza ed un’eleganza riservata.
Rileggere in questi giorni la sua auto biografia mi ha fatto toccare con mano quanto la prospettiva sia un'arte straordinaria. Illuminante perché ci permette di cambiare punto di vista e attingere dalle nostre radici per tornare con i piedi per terra, più forti. Più motivati a lavorare intimamente e quotidianamente su di noi, per ripulirci dagli stereotipi e dalle macerie che ci hanno annebbiato non solo la vista ma la vita.
Impariamo a essere coerenti con i valori che ci sono stati tramandati, in primis - nel nostro caso - l’onestà, la responsabilità, l’impegno, la gentilezza.
“Come conclusione – scrisse mio nonno - vorrei aver raggiunto almeno questo risultato: che quando voi ripenserete a vostro padre o ne parlerete con altri, avrete almeno la convinzione di parlare di uno che è stato certamente un ingenuo, ma sempre un galantuomo”.

Cent’anni fa mio nonno insieme a tantissimi altri uomini offrivano un mazzolino di mughetti alle operaie, come in Francia si faceva da secoli, simbolo di gratitudine per il loro lavoro ma soprattutto di portafortuna per una felicità che ritorna. Che galantuomini!
A tutti voi i miei mughetti, sperando che il loro profumo ridesti la nostra anima più gentile e umana. Con le qualità di un galantuomo, che è risorto come l’araba fenice e non ha vissuto invano.
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