Finisce un periodo. Se ne apre un altro.
Non mi riferisco solo a Covid e a “Black lives matter”. Parlo di riti di passaggio, di fasi che si chiudono e altre che si devono aprire.
Come la “Luna Fragola” che ieri sera è stata eclissata, così mi sembra stiamo eclissando l’importanza dei riti di passaggio, intesi non come le classiche iniziazioni tribali, ma come momenti fondamentali di crescita, per consentire lo sviluppo di una personalità più responsabile e matura.
Penso che in questo momento tutti noi avremmo bisogno di un rito di passaggio, non solo gli adolescenti che finiscono un ciclo di vita e scolastico. A loro voglio ispirarmi e rendere onore, perché si stanno inventando un nuovo rito di passaggio, basato sulla presenza e la gentilezza. Una presenza che deriva dalla scoperta di emozioni che manifestano in modo forte e chiaro, mentre noi spesso le tacciamo o ignoriamo.
Loro urlano di rabbia, piangono disperati per un’amicizia spezzata, si entusiasmano per una biciclettata al parco finalmente con gli amici, combattono per una partita, si assumono le responsabilità di ciò che vogliono o non vogliono.
Eppure quest’anno non potranno saltare insieme di gioia al termine degli esami, non potranno festeggiare ballando tutta la notte, non potranno abbracciarsi stretti e commossi perché non sanno cosa gli riservi il ciclo che verrà. Certo, nessuno di noi lo sa, ma loro sembrano più responsabili di noi, nel senso letterale del termine. Inventano modi tanto creativi quanto gentili per stare ugualmente vicini, affrontano i propri dolori e attraversano le paure. Come avremmo potuto fare noi in questi mesi di clausura: condizione perfetta, dove l’unico spazio da percorrere, scavare, scoprire, era dentro di noi. Affrontando dolori sepolti, paure recondite e credenze inabilitanti. Per uscirne più consapevoli, più responsabili, più empatici.
Ho avuto la fortuna di poter fare questo percorso perché la vita mi ha messo nelle condizioni di doverlo e volerlo fare. Ho scavato, ho attraversato paure, dolori, debolezze e sapete quale valore mi è emerso come imprescindibile? La gentilezza, verso me stessa, gli altri, l’ambiente. Guardare dentro di me con gentilezza - supportata da pura gentilezza - mi sta permettendo di evolvere verso una dimensione più naturale, libera, gioiosa.
Intravvedendo le lezioni a distanza ho capito quanto sia importante accogliere e trasmettere agli adolescenti la gentilezza. Gli insegnanti (a cui dedico un GRAZIE che sgorga dal cuore!) mi hanno insegnato che per crescere e crescerli dobbiamo adottare noi per primi la gentilezza. Gentilezza che diventa valore ed espressione autentica, con cui possiamo arricchire la vita, nostra e dei nostri figli. Progettare con l’intenzione che il risultato finale sia un dono, (anche) di gentilezza, mi ha aperto strade di co-creazione impensabili.
Confrontarmi con colleghi con gentilezza mi ha aiutato a consolidare le visioni e gli obiettivi.
Accarezzare un animale, innaffiare una pianta o impastare il pane con gentilezza, mi riempie di soddisfazione, tenerezza, presenza.
Sorridere con gentilezza, anche solo con il cuore, nascosta dietro una mascherina, mi sostiene nell’impegno di diffondere gentilezza. La gentilezza è un dono, ma – e lo trovo straordinario - ha anche una corrispondenza biologica nel nostro cervello, come l’ottimismo, il perdono, la gratitudine e la felicità.
I saperi delle tradizioni millenarie, infatti, hanno trovato evidenze scientifiche nel nuovissimo libro Biologia della gentilezza, di Immaculata De Vivo e Daniel Lumera che mettono a confronto scienza e coscienza in un approccio rivoluzionario per la salute, la longevità e la qualità della vita. La professoressa De Vivo, epidemiologa della Harvard Medical School, tra i massimi esperti mondiali di genetica, e Lumera, autore di riferimento internazionale nelle scienze del benessere, sono riusciti attraverso i loro studi a mettere in relazione il mondo interiore con la genetica del nostro corpo.
Questo significa scientificamente che essere gentili ha un impatto diretto sui nostri geni, l'ottimismo ci fa vivere più sani e più a lungo e la felicità aiuta i processi antinfiammatori.
Una rivoluzione di scienza e coscienza che cooperano per una consapevolezza evolutiva.
Una rivoluzione che promuovo e condivido di cuore perché sento che si manifesta nel momento giusto: l’inizio di un nuovo ciclo in cui dobbiamo distogliere lo sguardo dall’avere per dirigerlo verso l’essere. Con gentilezza, come magistralmente ci insegnano Daniel Lumera e Immaculata De Vivo.
“La gentilezza è un sorriso. Lasciamola libera di abitare parole, gesti, sguardi, carezze e persino silenzi.
Se un giorno ti svegliassi e chiedessi a tutte le persone che conosci: «Cos’è la gentilezza?» e poi prendessi tutte quelle risposte, tutto quel sentire, tutto quell’amore e lo unissi attraverso le parole… cosa accadrebbe? Scopriresti che la gentilezza è ovunque. Fuori e dentro. Aspetta solo di essere riconosciuta. Scoperta e celebrata. La puoi trovare in chi ti risponde col sorriso negli occhi e nella voce; in chi non ti fa sentire inadeguato se chiedi ancora e ancora perché non hai capito; la gentilezza abita nei gesti offerti spontaneamente e non richiesti, non dovuti, di chi ti aiuta a portare un pacco, di chi si toglie qualcosa per rispondere al tuo bisogno, di chi, quando hai freddo, ti copre, di chi ti dona il suo posto per poterti sedere.
Un disegno regalato da un bimbo, l’omaggio di un fiore.
Il cielo gentile nel tardo pomeriggio con tante nuvole bianche, il rosa pastello.
La gentilezza che si fa sorriso della luce del cuore. Perché il nostro cuore, ad ascoltarlo bene, sorride. E quel sorriso può lasciarlo nei gesti, nelle parole. Una parola col sorriso del cuore. Gentilezza ovunque”.
(Tratto da Biologia della gentilezza)
Con gentilezza, buona domenica, papà