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  • Immagine del redattoreMargherita Pogliani

Radici di maturità

La classica rimpatriata. L'emozione di ritrovarci, con le nostre fragilità, il nostro essere stati, il nostro divenire incerto davanti alle sfide della vita.

La gioia di sguardi che si riconoscono, si riaccolgono, senza giudizi, schermi, mascherine.

La voglia di Esserci, di condividere, di confrontarci come sui banchi del liceo, decenni fa.

Sentendoci solidali, complici, temerari, liberi di dire, fare, baciare, lettera, testamento.

Sono una privilegiata: ho vissuto l'adolescenza negli anni '80, decennio per me ricco di amicizie e connessioni profonde. Cadenzata dalle campanelle, ho letteralmente maturato quello spirito lieve, aperto e curioso che la mia generazione ha respirato tra un Rocci e un IL, tra un panino e una partita, tra code a La Scala e interminabili serate su Cluedo.

Umberto Eco, ne Gli anni Ottanta sono stati grandiosi, aveva previsto che «tra cinquant’anni vedremo questo decennio come uno dei più importanti del secolo, quello in cui (traumaticamente, certo, ma in modo irreversibile) si sciolgono i grandi nodi che ci avevano agghiacciato o affascinato dalla fine della prima guerra mondiale, dalle grandi utopie totalitarie alla guerra fredda. Inizia la dissoluzione dei grandi imperi, l’Europa si avvia a cambiare la sua geografia politica, sia pure tra immense contraddizioni vengono ufficialmente accettate molte minoranze, i partiti che avevano dominato la scena politica iniziano a interrogarsi sulla loro identità, si ristruttura la divisione classica tra destra e sinistra […], sorgono nuove aggregazioni trasversali, dall’ecologia al volontariato. Inizia in quel decennio e in modo massiccio la grande migrazione del Terzo mondo verso il mondo del benessere e si hanno i prodromi (non certo pacifici) della trasformazione etnica dell’Europa. Il crollo del muro di Berlino è l’evento ormai puramente simbolico che corona un decennio di trasformazioni epocali. E per finire, piaccia o non piaccia, è all’inizio del decennio che prende il via una rivoluzione immensa di cui stiamo appena intuendo la portata per il futuro: entra in scena il personal computer.

Si può liquidare con un sorriso di commiserazione un decennio così cruciale, forse veramente quello in cui si è passati dal XX al XXI secolo?».

No. Non si può. Non si può perché per noi è stato davvero cruciale ma la nostra gioventù - per fortuna - non è bruciata. Non si può perché alcuni frammenti restano memorabili, come le manciate di gettoni per telefonare dalla cabina sotto casa senza orecchie indiscrete intorno, il callo della scrittura, le foto mosse e fuori fuoco, il TuttoCittà, i francobolli, l'incubo di "dare buca", i palinsesti obbligati, le cassette con canzoni messaggere d'amore, i bigliettini scritti con penne invisibili,

Ma, soprattutto, non si può perché ritrovando i mie compagni ho sentito vibrare forte e chiara la consapevolezza e non il vittimismo, la voglia di confronti e non di affronti, un senso di appartenenza e non solo di individualismo da “logomania”, la fiducia nell'altro e non la paura di affrontare anche solo le nostre ombre.

"Al di là delle chiacchiere e dei ricordi tra vecchi compagni di scuola qualcosa che resta c'è", ha scritto una volta Elisabetta Montanari sul Corriere dela Sera. "È l’emozione di guardarsi indietro e, con un senso di vertigine, scoprire quanta strada abbiamo fatto e la direzione che abbiamo preso. È la certezza di venire proprio da lì, di avere delle radici e delle motivazioni in comune con quelli che, a prima vista, sono solo un gruppo di signori di mezza età. E invece sono proprio loro: i tuoi compagni di scuola".

Sono loro perché percepisco di nuovo la complicità che vibrava tra banchi, la solidarietà nel passarsi le versioni o suggerire i risultati, il gioia di cercarci e (ri)trovarci, l'incubo di interrogazioni che oggi riemergono teneramente nostalgiche. Rivederci dopo decenni mi ha confermato il ricordo di una scuola dove ho imparato il significato della parola "compagno" (da cum panis, condividendo lo stesso pane) e ho scoperto la resilienza (sì, potete sorridere, cari amici di sperimentazioni, domande sofistiche, riflessioni infinite e amori spassionati!).

L’adolescenza è un marcatore implacabile di personalità. Ora capisco perché i nostri figli siano così sfidanti e sfuggevoli: stanno cercando di ancorare le basi della loro vita, assorbendo elementi nutritivi preziosi. Non saremo più noi a garantirglieli. Non più.

Saranno i compagni, gli amici, i coetanei. Nel bene e nel male, perché il mio vissuto testimonia, come in tutti i boschi che si rispettino, le radici che si intrecciano potenzialmente si sostengono anche dopo decenni, condividendo messaggi silenti ma molto potenti. Una vera e propria rete sotterranea, sviluppata dalle piante nel corso della loro evoluzione per riuscire a comunicare e sapere cosa accade in superficie.

Oggi mi riconosco come una semplice margherita radicata contro la furia dei venti, in continuo mutamento perché solo lasciando andare torno a fiorire. Ma sotto sotto, ho messo radici che si sono sviluppate su un terreno comune, dove ritrovo gli stessi “elementi” e la comunicazione profonda e vitale di trent’anni fa. Il pensiero, quindi, va non solo alla gratitudine per aver trovato un buon terreno, ma soprattutto va ai nostri giovani liceali. Lasciamoli liberi di rompere i vasi in cui li abbiamo protetti finora, affinché affondino le loro radici in un contesto fertile di amicizie stimolanti, entusiasmi adolescenziali, passioni sfrenate e lezioni, vere lezioni di vita.


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