Oggi per la prima volta ho corso in un prato pieno di fiorellini con il mio cane. E mi ha commossa vederla rotolarsi, pur al guinzaglio, nell’erba. Avrei voluto farlo io. Quel senso di libertà ed energia mi ha inondata come acqua dolce per un naufrago.
Poi ho alzato lo sguardo: il cielo non è mai stato così terso a Milano come questo mese.
Noi stessi non abbiamo mai avuto la possibilità di diventare così tersi. Di radicarci nei nostri ricordi, di proiettarci in congetture sul futuro, di stare fermi come piante. Come saggiamente scrive Riccardo Luna, a proposito di una lezione tenuta recentemente dal prof. Mancuso, illuminare e illuminante studioso botanica: “La quarantena ci ha trasformato in piante” ha detto Mancuso sapendo di muoversi sul filo del paradosso. Ma non era un virtuosismo: come le piante, ha aggiunto, adesso siamo più attenti allo spazio che abitiamo, le nostre case sono più curate, abbiamo scoperto angoli che non sapevamo ci fossero, e riscoperto oggetti perduti. E poi, non sprechiamo più cibo, o ne sprechiamo molto meno del 50 per cento che ci attribuiscono le statistiche. Come le piante abbiamo moltiplicato gli strumenti della comunicazione: non potendoci muovere, abbiamo bisogno di essere connessi sempre. Per questo stiamo sempre sui social o in video telefonate. (…) Ma noi umani siamo animali sociali, abbiamo bisogno degli altri per stare bene, abbiamo bisogno di vederli, toccarli, ascoltarli”.
Quanto è vero! L’altro giorno mia mamma mi confidava che pur sentendosi una grande privilegiata percepisce anche un retrogusto amaro di privazione di mesi importanti da vivere vedendo i nipoti crescere e accogliendo i figli nei loro alti e bassi. Lo capisco: io stessa mi sono preclusa mesi interi di gioie condivise, cene organizzate con gli amici, momenti insieme perché presa da altre priorità o, meglio, perché non pensavo fossero una priorità.
Oggi, grata delle radici che sto riscoprendo e dell’esempio che le piante ci regalano ogni giorno, sento famelica la priorità di tornare alla socialità di umana vicinanza, partecipazione, ascolto, gentilezza, cocreazione. Dall’intimità di un caffè rubato alla quotidianità al calore di un abbraccio, alla tenerezza di una carezza alla slancio di gioia di una figlia davanti al negozio preferito, da un progetto evolutivo a una semplice mano stretta con la fiducia di una conoscenza interessante.
Già, la fiducia. Questo virus ha contaminato la fiducia in tutto ciò che prima davamo per scontato: le vacanze, un reddito, la crescita del lavoro, nuove opportunità, un Paese dove, bene o male, ci sentivamo al sicuro.
Laddove ieri c’era una chiara fiducia, oggi regna una tetra sfiducia. Difesa? Cinismo? Come ha scritto Alessandro D’Avenia, “Il cinismo è scorciatoia che ripara dal coinvolgimento personale e dal conseguente impegno”. Possiamo dedicare un certo periodo per capire chi siamo e chi vogliamo diventare, autorizzandoci slanci, visioni e linfe vitali a lungo negate. Così ci (ri)scopriamo esseri umani, prefigurando la vita e il futuro che vogliamo veramente creare.
Non nego sia fondamentale. Ma finché restiamo chiusi nei nostri vasi non potremo che germogliare e fiorire su noi stessi per poi di nuovo lasciare andare ciò che non ci serve.
Oggi sento che il coinvolgimento personale e l’impegno di cui parla D’Avenia debba nutrirsi soprattutto di una fiducia “consistente” verso gli altri. I modelli finora indicavano l'affidabilità delle persone veniva giudicata su tre fattori: capacità, buone intenzioni, integrità.
Penso che sarà vincente la fiducia sviluppata sulla capacità di gestire e rendere costruttive le emozioni attraverso l’ascolto attivo, l’empatia, un sorriso, uno sguardo onesto, la sincerità, l’altruismo, la gentilezza, la responsabilità e l’umiltà intellettuale.
Possiamo trovare in noi stessi queste meta-abilità, esprimendo al massimo i nostri talenti, impegnandoci a stare nel qui e ora, dichiarando onestamente chi siamo e come possiamo essere utili per costruire un futuro diverso da quello che ci attende. Significa esporci e, soprattutto, seguire l’intuito della fiducia empatica, verso chi osa condividere apertamente le proprie idee, intuizioni, azioni, decisioni, nutrite da una autentica umanità. Perché credo fermamente che “La creatività della nostra mente ha una origine sociale”, libera di esprimersi quando ci apriamo al dialogo e al confronto rispettoso e costruttivo. Evolutivo, come natura insegna. Senza schermi come vorrebbe un vero ecosistema. Dinamico e sano come correre su un prato in fiore.
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