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Immagine del redattoreMargherita Pogliani

Medaglia da paura


Una sfera che sembra una medaglia d’oro, d’argento. Zampilli cristallizzati nel loro piroettare. Un pallone in aria, un bimbo che corre, salta. Oggi più che mai resto con il fiato sospeso rimirando questa foto: un bimbo che corre e salta quasi volesse acchiappare un sogno.

Ferrari, Jacobs e Tamberi assaporandosi la medaglia olimpica dimostrano che si può.

Si può cadere, rompersi, perdere e poi curarsi, attraversare le paure, rimettersi in piedi e crederci. Credere nel sogno. Credere che si può almeno provare. Con umiltà, determinazione, allenamento. E anche entusiasmo, orgoglio e tanta, tanta agilità emotiva.

Quale esempio di sogni riscattati grazie a un rispettoso e solidale lavoro su di sé!

Quali percorsi faticosi, prima di raggiungere questi traguardi straordinari e coraggiosi!

Sì, coraggiosi perché hanno ascoltato il cuore, immaginando: “e se potessi?”


“Gara dopo gara – aveva ammesso tempo fa su The Owl Post il mitico centometrista che oggi ha conquistato l’oro alle Olimpiadi di Tokio -, ho sempre corso con un asterisco vicino al mio nome. Cercavo qualcosa che mi impedisse di fare il tempo-che-avrei-potuto-fare, perché almeno delusione sarebbe stata meno amara, non essendo del tutto colpa mia. Scattava sempre qualcosa nel mio inconscio, giù nel profondo, che per sabotarmi e per farmi finire in un limbo in cui neppure sapevo se essere arrabbiato con me stesso oppure no. Fino all’anno scorso dicevo a me stesso: questo sono io, prendere o lasciare. Sono fatto così, mi mancano dei pezzi, non potrò mai rimetterli insieme. Dentro di me c’era una voce, che bisbigliava: non provarci per davvero”.

Finché non ha incontrato una mental coach, Nicoletta Romanazzi, che l’ha sostenuto a correre sulle sue gambe, a credere nei suoi sogni, a pacificarsi con tante credenze e ricordi d’infanzia che gli sabotavano il passo. “Ecco un ragazzo - commentava poche ore prima della gara - che ha scelto ogni giorno di guardare ai suoi sogni e lavorare con tutte le sue forze per ottenerli. Che ha saputo mettersi in gioco completamente anche quando faceva male, anche quando ha voluto dire mettersi in discussione, ribaltare il proprio modo di vedere se stesso e il mondo. Un ragazzo che ha saputo affrontare le proprie paure, prima riconoscendole e poi accogliendole per andare oltre. Con la voglia sempre di crescere e migliorare".

Un salto nel vuoto, la fiducia di poter ancora crescere e migliorare. Un salto che vale l’oro olimpico, come anche quello di Tamberi che cambiò marcia quattro anni fa, quando deluso e frustrato da un infortunio che avrebbe potuto costargli la carriera, ha ascoltato – destino volle – l’atleta con cui non ha avuto dubbi nel condividere l’oro ex-aequo. Il marchigiano (di Camerano!) ha, infatti, raccontato che proprio Barshim gli suggerì di non forzare i tempi e di mettercela tutta per sé stesso, non per gli altri.

Infine lei, Vanessa Ferrari, una donna che ha scelto di concentrarsi solo su di sé: “Non voglio più pensare agli altri. La mia strategia è fare al meglio quello che so fare, né più, né meno”, disse poco tempo fa. Strategia vincente, che celebro anche perché mi permette di ricordare quanto sia importante fare al meglio ciò che sappiamo fare, né più né meno, non per il plauso o il giudizio degli altri, ma per noi stessi.


Perché c’è sempre una possibilità. La possibilità di realizzare i nostri sogni, oltre ogni aspettativa, oltre ogni credenza, oltre ogni paura.

Accogliendola, questa dannata paura. Accettandola.

È innegabile che la tanto cara, atavica paura, ci stia attaccata come un’ombra alle costole. Ma ci ha anche permesso di sopravvivere fino ad ora. Percuotendoci, innegabilmente.

E a nulla servono le frasi fatte: "Guarda il lato positivo". Oppure: "Pensa positivo". Oppure: "Potrebbe andare peggio". Anzi, questi cliché del pensiero positivo – ben intenzionali, s’intende - non fanno che approfondire il disagio, poiché sottendono che la nostra sofferenza sia un'invenzione che può essere vinta pensando in positivo. Salvo scivolare in un eccesso di ottimismo che crea dipendenza.

Susan David la chiama “tirannia della positività. Il punto di vista convenzionale per cui alcune emozioni, come la felicità, sono buone, mentre altre, come la sofferenza, la paura e la rabbia, sono cattive. Mentre alcune emozioni sono certamente più piacevoli di altre, è controproducente pensare che siano buone o cattive. I sentimenti sono e basta, e stiamo meglio se li ascoltiamo piuttosto che cercare di eliminarli”.

Incoraggiare qualcuno a fingere di essere felice o coraggioso o ottimista quando si sente l’opposto è come combattere per la pace. Paradossale. Non solo perché ci si sente ancor più isolati e incompresi, ma anche perché dicono che mettere da parte le emozioni difficili in realtà le renda più forti, le amplifichi.


Torniamo quindi in pista: immaginiamoci lì, in quei secondi che precedono lo starter.

“Non devi avere paura” ci imponiamo come quando eravamo bambini. Allora non sapevamo nemmeno cosa fosse la paura. Oggi, sapendolo, ci illudiamo di poter superare con un semplice imperativo quella subdola sensazione che per millenni ci ha permesso di sopravvivere. Che ingenui! La paura non si controlla, è un’emozione primaria che si aggrappa silenziosamente alle viscere.

La paura non è né negativa né positiva. La paura esiste e come tale può essere abbracciata e accettata, perché rappresenta il nostro lato umano. Possiamo toglierle potere, questo sì. Possiamo impedirle di bloccarci sulla griglia di partenza. Possiamo ascoltarla e cercare di capire cosa ci sta dicendo.

Poi possiamo prendere un bel respiro e via, correre più forte che si po', mettercela tutta attraversando la paura di cadere, perdere, morire, perché la vita è piena di rischi e dobbiamo assumerci questi rischi per poterla vivere veramente.

La paura appartiene al passato. L’opportunità di esprimersi a corpo libero, saltare, correre invece è ora. Perché è impossibile vivere senza perdere. Solo chi non cambia mai sta al sicuro. Ma non vince. Mentre noi siamo venuti per uno scopo: crescere e migliorare grazie alle nostre paure, ricordando è impossibile imparare a gestire le nostre sfide finché la paura non sarà più una sfida ma un segnale che ci indicherà i nostri limiti insieme alle nostre possibilità. Le nostre potenzialità.


Non importa come, non importa chi ci guarda. Importa come scegliamo di vivere le emozioni, anche se non sappiamo come fare. Basta un primo passo, lasciando andare tutte le informazioni che ci impediscono di agire e concentrandoci, invece, su tutte le sensazioni che ci permettano di stare nello stato che vogliamo, a prescindere da cosa accade.

Perché ciascuno di noi può sperimentare quel frammento tempo sospeso ra i pensieri e preoccupazioni che sembra durare eoni, mentre è una manciata di secondi.

Ciascuno di noi può perdonarsi perché è umano fallire come è umano aver paura. Lo urla la pancia, lo dice la testa. Ma in mezzo sta il cuore che può battere, non battersi. Battere per darci lo slancio. Battere per pompare più sangue che può. Battere per farci correre e saltare e fallire e ricominciare di nuovo e di nuovo finché non esulteremo. Perché ciascuno di noi esiste per lasciare la sua piccola traccia. Per partecipare, cercando di vincere le sue piccole medaglie. Per portare la propria storia nella storia, riconoscendoci in un senso di appartenenza che diventa motore inarrestabile di gioia e di gratitudine.

Più veloce di ogni pensiero, di ogni ragionamento. Pura, incredibile agilità emotiva.

Proprio come i nostri tre campioni che hanno osato lavorare con (non contro) le proprie paure, impegnandosi per diventare sempre più agili. Anche emotivamente. Per rialzarsi e andare oltre.

Oltre ogni dolore. Oltre ogni aspettativa. Oltre ogni sogno.

In fondo come sosteneva Mandela: "A volte un vincitore è semplicemente un sognatore che non ha mai mollato".

Un vincitore è un cuore che continua a battere per un sogno. Il sogno di potere. Poter evolvere all'infinito.


“There are two basic motivating forces: fear and love. When we are afraid, we pull back from life. When we are in love, we open to all that life has to offer with passion, excitement, and acceptance. We need to learn to love ourselves first, in all our glory and our imperfections. If we cannot love ourselves, we cannot fully open to our ability to love others or our potential to create. Evolution and all hopes for a better world rest in the fearlessness and open-hearted vision of people who embrace life.” (John Lennon)

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1 Comment


Enrico
Enrico
Aug 03, 2021

Pensieri molto profondi, che ti fanno ripensare tutta una vita e il modo con cui l'hai (finora) vissuta. Grazie Marghe, non sai quanto ti sono riconoscente per questa tua preziosa fatica di mettere nero su bianco le tue sensazioni e le tue idee, grazie grazie!

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