Per loro, non ci sarà mai una liberazione. Perché hanno intuito cosa sia una costrizione ma non ne percepiscono concretamente la motivazione e il livello di gravità.
I nostri figli, per fortuna, non hanno vissuto il terrore di una guerra dove scappare e sopravvivere era la parola d’ordine. Non hanno vissuto una storia che avrebbe comportato un vinto e un vincitore.
I nostri figli sono costretti in una realtà ovattata, nel bene e nel male, perché non gli appartiene e non la capiscono nemmeno fino in fondo, a meno di non essere stati toccati personalmente.
I nostri figli hanno vissuto dapprima l’isolamento come vacanza prolungata, poi ha iniziato a insinuarsi una velata ansia che abilmente hanno trasformato in nuova sperimentazione, reinventandosi nuove forme di relazione, infine, oggi, ci domandano quando potranno uscire, dando per scontato che il pericolo sia terminato.
Ma non è terminato e non sappiamo quando terminerà. Al loro iniziale stupore, seguito da ansia, curiosità, creatività, pazienza, noia, crescita ora dobbiamo aggiungere l’incertezza.
Incertezza che vivo come uno dei peggiori veleni di questo “nuovo” secolo. Perché l’incertezza genera rassegnazione, costante insoddisfazione, strisciante disimpegno, spaesata sfiducia, delega inconscia e mancanza di assunzione di responsabilità.
Ultimamente era raro stagnare nell’incertezza: c’era sempre uno strumento o una persona a cui potevamo chiedere certezze o quanto meno strumenti per risalire faticosamente la china di un’apparente sicurezza. Ma oggi stiamo annaspando nelle nostre incertezze e rischiamo di farci annegare i nostri figli.
Di contro, il desiderio di uscire dall’incertezza, creando valori e regole su cui fare affidamento, spesso viene considerato una delle concause principali del salto evolutivo degli esseri umani, rispetto agli animali.
E’ lapalissiano che il nostro futuro sarà incerto, ma non deve esserlo il nostro presente.
Dobbiamo e possiamo nutrirci e investire sui lati positivi dell’incertezza: le coincidenze, la fantasia, la creatività, il tempo per fortificarci sui nostri valori, la scoperta di talenti inespressi, l’ascolto di voci che credono nella libertà e nella felicità come diritto naturale.
I nostri figli diventano così i nostri migliori insegnanti perché, se anche è vero che non hanno ricevuto quella lezione di “dovere e patire” che ricevettero i nostri nonni, è altrettanto vero che ogni giorno reagiscono, un passo alla volta, trasformando le incertezze in nuove sperimentazioni, in idee, in pura creatività.
Penso ai nostri tre gemelli, alle prese con tutti i cambiamenti dell’adolescenza ma chiamati a essere maturi, nonostante non abbiano ancora sostenuto (né mai sosterranno) l’iniziazione dell’esame di stato. Hanno paure, tristezze, malinconie, nostalgie che trasformano quotidianamente in forza per trovare il coraggio di partire dagli essenziali e lasciar volare la fantasia per trovare soluzioni concrete e sostenibili. Sono più solidali (come quando erano bambini), rispettosi, attenti, disponibili e generosi, si divertono persino a pulire casa, a preparare lasagne, curare piante e animali, ascoltarci e replicare senza la furia del quattordicenne.
Ci stanno insegnando la capacità di reagire con sensibilità e fantasia. Li vediamo sempre piccini, ma i ruoli si sono invertiti: noi “grandi bambini” dobbiamo solo essere grati di questa loro quotidiana lezione di vita e di libertà, perché anche un solo seme di questi “piccoli adulti” ci può fare uscire dall'incertezza in cui annaspiamo.
Brava Marghe bellissima riflessione che condivido in pieno