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  • Immagine del redattoreMargherita Pogliani

Solo sbagliando si impara. E a scuola?

Solo sbagliando si impara!”, esclama il nipote quasi seienne di fronte al mio ennesimo errore nel gioco. “Ma anche a scuola si impara…”, aggiunge fiducioso.

Voglio credere a chi si prepara a indossare (forse) il suo primo grembiulino, la sua prima cartella, la sua prima mascherina. Una prima volta per tutti, anche per i tre gemelli, che nei corridoi, ai cambi d’ora, in entrata e in uscita, dovranno intuire la simpatia di chi sarà loro a un metro di distanza dalla luce degli occhi, dall’espressione delle sopracciglia.

E queste sono certezze. Le uniche certezze che finora abbiamo per i nostri figli. Perché in troppe scuole, istituti, licei, le informazioni sono ancora “riservate”, il primo giorno ancora incerto, le modalità ancora confuse.

Eppure… eppure se è vero che “spagliando si impara”, dovremmo sempre più osar sbagliare.

Osar sbagliare significa osare, non parlare e commentare. Significa assumersi le proprie responsabilità, in qualità di genitori, insegnanti, esseri umani e sociali.

Nel mondo "dall'inizio della pandemia di Covid-19 circa 1,6 miliardi di studenti hanno perso apprendimento", per via della chiusura delle scuole. E ancora, dopo 6 mesi (poco meno di 200 giorni e 4.000 ore), nessuno si è preso la responsabilità di portare avanti una linea guida che sia una, di investire concretamente sul tema, non solo su temi abbozzati e banchi distanziati.

Purtroppo siamo ancora avviluppati nell’ipocrisia delle promesse, delle buone intenzioni, del posticipo, delle promozioni di se stessi.

Solo pochi giorni fa, si è riunito l’OMS Europa per trovare un consenso su una scolarizzazione sicura, «mettendo la questione dell’istruzione durante la pandemia COVID-19 in cima alla nostra agenda». Ora, lo mettiamo il 31 agosto 2020 in cima all’agenda? Davvero? Complimenti! Siamo oltre l’insufficienza grave. Siamo ben oltre, perché sbagliare per non sbagliare è veramente grave e non ci insegna nulla se non che noi genitori, in primis, dovremo sostenere quei presidi, quegli insegnanti, quei collaboratori scolastici, quegli studenti che oseranno assumersi la responsabilità e sperimentare nuovi paradigmi.

Garantire, oggi, a poche ore dalla riapertura delle scuole, cheLe misure protettive relative all’igiene delle mani, l’allontanamento fisico, l’uso di maschere ove appropriato e la permanenza a casa in caso di malattia sono le pietre angolari di un’istruzione scolastica sicura all’interno della realtà COVID-19” e “È realistico preparare e pianificare la disponibilità dell’apprendimento online per integrare l’apprendimento scolastico nel prossimo anno scolastico” è un oltraggio a chi ancora crede nel Sistema e nel Paese. Come ultimamente emerge sempre più spesso, saranno le iniziative dei singoli, la responsabilità individuale, l’esempio e la solidarietà reale a insegnare ai nostri figli la resilienza.

Per questo trovo quanto mai attuali le parole di Socrate “È sapiente solo chi sa di non sapere, non chi s'illude di sapere e ignora così perfino la sua stessa ignoranza” e, soprattutto, l’insegnamento del maestro Richet in L'argent de poche: “Fra tutte le ingiustizie che ci sono al mondo, quelle che colpiscono i bambini sono le più ingiuste, le più ignobili, le più odiose. Il mondo non è giusto e forse non lo sarà mai, ma è necessario lottare perché ci sia giustizia, bisogna, bisogna farlo: le cose cambiano, ma lentamente; le cose migliorano, ma lentamente. Quelli che ci governano cominciano sempre i loro discorsi dicendo: "Il Governo non cederà di fronte alle minacce", invece è il contrario: il Governo cede solo alle minacce. E i cambiamenti si ottengono solo reclamandoli energicamente. Da qualche anno gli adulti hanno capito e ottengono in piazza quello che gli si rifiuta negli uffici; vi dico tutto questo solo per dimostrarvi che gli adulti quando lo vogliono veramente, possono migliorare la loro vita, migliorare il loro destino, ma in tutte queste lotte i bambini sono dimenticati: non c'è nessun partito politico che si occupi veramente dei bambini, dei bambini come Julien o dei bambini come voi. Esiste una spiegazione per tutto questo: i bambini non sono elettori. Se i bambini avessero diritto al voto, voi potreste chiedere più asili nido, più assistenti sociali, più di qualsiasi cosa e li otterreste, perché i deputati vorrebbero i vostri voti. Per esempio, potreste ottenere di arrivare a scuola un'ora più tardi d'inverno, invece di arrivare che è ancora notte. Volevo anche dirvi che, proprio perché ho un brutto ricordo della mia infanzia e perché non mi piace come ci si occupa dei bambini, che io ho scelto di fare il lavoro che faccio: cioè insegnare. La vita non è facile; è dura ed è importante che impariate a diventare forti per poterla affrontare. Badate: io non vi spingo a diventare dei duri, ma dei forti. Per uno strano equilibrio quelli che hanno avuto un'infanzia difficile, sono più preparati ad affrontare la vita adulta di quelli che sono stati molto amati e molto protetti. E' una specie di legge di compensazione: la vita è dura, ma anche bella. Infatti ci teniamo molto: basta essere costretti a letto per un'influenza o una gamba rotta per avere voglia di uscire, di andare a spasso, per accorgerci che la vita ci piace”.

Già, ci piace tanto da assecondare il suo paradigma e tornare in una logica di “qui e ora”, di “fare”, di sbagliare, di rialzarsi e (ri)cominciare. Imparando a diventare forti, non inconsistentemente duri. Imparando che servono sacrifici, assunzioni di responsabilità e visioni corali per tornare sui banchi e crescere, in tutti i sensi.

Nel mio piccolo, continuerò con impegno a rispettare le misure di sicurezza, a sostenere le iniziative volte a fare del bene, prima che a fare bene

Continuerò a credere che #insiemesipuò imparare. Continuerò a studiare insieme ai “compagni di banco”, con la fiducia, la complicità e il “cuore che scoppia” che avevamo noi da studenti (ringrazio per la citazione un mio saggio compagno di liceo).

In fondo basta poco: basta ricordare chi eravamo da bambini e chi volevamo essere da adulti.

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