Senza trucchi, senza inganni, qui siamo. Chiusi nelle nostre case, ci ritroviamo a confrontarci con la nostra intimità. Senza maschere, senza archetipi che devono dimostrare la nostra forza, senza conferme della nostra bravura, senza guerre da combattere se non quella di sopravvivere.
Semplicemente siamo e stiamo, in tutta la nostra vulnerabilità. E di questo, personalmente, sono grata. Sono grata di questa clausura che mi permette di specchiarmi in ciò che finora ho costruito (o distrutto): contesti, relazioni, progetti, priorità.
Già, priorità, perché in questo tempo sospeso ciò che veramente conta mi abbaglia come il sole all’alba.
Mi abbaglia la nostra capacità di adattamento, tanto più evidente nei nostri figli. Mi abbaglia la vicinanza e la forza di un sorriso scambiato via messaggio o incrociandosi per strada a quattro metri di distanza con le nostre mascherine e i nostri cani ululanti. Mi abbaglia questo buio davanti a noi, che mi porta a guardarmi dentro ora più che mai e a domandarmi cosa farei e cambierei se dovessi morire domani. L’idea dapprima mi atterrisce, poi cerco di scappare su altri pensieri (tipiche reazioni del nostro cervello di fronte alla paura!), infine mi fermo, respiro e lascio che idee, intuizioni, note accennate vengano a galla, nell’essenza fluida in cui mi sono (ri)trovata.
Domande liquide, come: “Cosa ho fatto o non ho voluto fare? Quali scelte avrei voluto prendere e non ne ho avuto il coraggio? Cosa avrei voluto dire e non ho detto? Costa sto rimandando?”
Cosa stiamo rimandando? Osiamo calare lo sguardo e guardare attraverso l’acqua che pulsa dentro di noi per cercare onestamente risposte o anche solo semplici intuizioni.
In fondo il nostro corpo è formato dal 60/65% di acqua. E, dunque, ascoltiamo questa nostra essenza liquida che ci scorre dentro, per pulire, capire, plasmarci, lasciare indietro ciò che abbiamo passato e superato, affidandoci alla direzione per cui siamo nati. Questo è un buon momento per lasciare abitudini e dubbi, per toglierci le maschere, per essere autentici, come siamo nelle nostre quattro mura, dove ci sentiamo protetti e le ombre trasmettono un passato che non tornerà.
Personalmente ho vissuto veri incantesimi, ho volato alto. Ora è il momento di scendere a terra per tuffarmi in acque concrete, affidandomi alla loro fluidità e potenzialità di trasformazione. Siamo tutti vittime di questa pandemia, la vulnerabilità e la compassione ci tengono sospesi in una bolla comune. Ma la stessa vulnerabilità e compassione, intesa come capacità di sentire insieme, ci permettono di condividere questa nuova prospettiva, più autentica e viscerale. Ci insegnano a rispettare i tempi perché il pane lieviti, ad ascoltare con cuore aperto perché anche l’altro ha paura come me, a sentirci grati per ogni respiro e a vivere in modo naturale, senza giudizi, senza aspettative. Nei nostri spazi. Con i nostri tempi. Con la nostra natura umana che vuole solo evolvere.
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